Un primate in salotto
La sentenza del film, pronunciata all’inizio del lungometraggio dal gorilla protagonista attraverso il vocione gutturale del doppiatore eccellente Claudio Bisio, risulta oltremodo stimolante, in barba a qualsiasi teoria darwiniana: “Non sono gli uomini a discendere dalle scimmie, ma le scimmie dagli uomini“. Una frase che avrebbe potuto aprire ad Attenti al gorilla di Luca Miniero moltissime e fruttuose strade da percorrere. In primo luogo, come ovvio, una riflessione sulla convivenza “forzata” che porta l’essere umano – nell’occasione un Frank Matano in versione avvocato (??) che si ritrova, a seguito di regolare sentenza, a dover badare all’animale del titolo – a strettissimo contatto con un gorilla assai più intelligente di quanto l’opinione pubblica sia portata a credere. Lasciamo ai lettori indovinare chi farà miglior figura, tra la bassezza umana e la nobiltà animale. Tutto da scontato repertorio, insomma. Ci sarebbe poi stata la possibilità, assai remota di questi tempi grami per il nostro cinema, di fare satira sulla società contemporanea, sin troppo votata all’arrivismo soprattutto quando viene messa a confronto con la “filosofia”, basica ma proprio per questo efficace, di un animale che osserva il tutto da un’altra prospettiva. Nemmeno a parlarne. La commedia per famiglie non contempla tale sbocco. Arriviamo dunque al punto, dolente, di Attenti al gorilla. Un film che, nella sovrana incertezza sul da farsi, imbocca il facile sentiero di un’operina buonista che regala al primate il tutt’altro che necessario ruolo di “salva-famiglia”, a risolvere indirettamente la crisi coniugale che affligge il già menzionato Matano e la sua consorte Cristiana Capotondi, con annessa e variegata prole. Benvenuti allora alla fiera dell’insulso propagandata da un lungometraggio niente affatto sciatto nella realizzazione ma del tutto inutile nel proprio, telefonato, moralismo di fondo.
E pensare che dopo il Benito Mussolini del recente Sono tornato – altro film dall’evoluzione narrativa abbastanza scontata, ma certamente inquietante nelle sue parentesi realistiche, con un Duce molto verosimile benissimo interpretato da Massimo Popolizio – ci sarebbe stata l’opportunità di immettere un’altra mina vagante a disintegrare l’ipocrisia vigente. Dubitiamo fortemente che gli autori della sceneggiatura – Miniero stesso con Giulia Gianni e Gina Neri – abbiano visto Max amore mio (1986) di Nagisa Ôshima, dove uno scimpanzé si inseriva proditoriamente nel ménage matrimoniale di una coppia discretamente stagionata. In Attenti al gorilla risulta assente persino qualche allusione sanamente triviale (il livello di comicità è affidato a pseudo-battute tipo “Il gorilla deve essere femmina, altrimenti sarebbe un gorillo“), a tutto beneficio – si fa per dire – di uno stucchevole prodotto formato famiglia. Del resto, quando si girano commedie come questa, avendo in mente l’unico obiettivo di coinvolgere quante più fasce d’età possibile per far soldi al botteghino, il solo risultato può essere quello di cucinare minestrine insipide buone a saziare qualsiasi, facile, palato. Restano, a mo’ di epitaffio, i soliloqui esistenziali venati di amarezza pronunciati dal già menzionato Bisio, a dare intima voce ad un gorilla che, temiamo in senso lato, non abbia ben compreso come sia finito a “recitare” in un film capace di sfiorare, quasi virtuosisticamente, il grado zero di consistenza.
Non sappiamo allora se Attenti al gorilla, nella filmografia di Miniero, raggiungerà il successo di pellicole quali ad esempio Benvenuti al sud (2010). Siamo invece ben consapevoli del fatto che, senza un briciolo di coraggio, la commedia italiana sarà destinata a rimanere a lungo in un limbo indeterminato, destino persino peggiore delle metaforiche fiamme di un inferno comunque più vitale.
Daniele De Angelis