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Assassin’s Creed

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VOTO: 6

Il seme della violenza

3.451.575. Tranquilli non stiamo dando i numeri. I bagordi e i postumi dei festeggiamenti per l’arrivo del 2017 sono stati già ampiamenti smaltiti. Quelle riportate sono piuttosto le cifre impressionanti registrate dal 2007 all’aprile 2016 per quanto concerne le copie complessive vendute nel mondo dei vari capitoli di Assassin’s Creed, la fortunatissima serie di videogiochi action-adventure a tema stealth (basati sulla pazienza e sull’abilità del giocatore di evitare di essere rilevato dal nemico per poter completare gli obiettivi fissati), caratterizzata da un’esperienza di gioco di tipo open world (si intende un videogioco in cui il giocatore può muoversi liberamente all’interno di un mondo virtuale; infatti è data ampia libertà al giocatore il quale può scegliere come e quando affrontare obiettivi o dedicarsi alla semplice interazione con l’ambientazione e ciò che la popola), liberamente ispirata al romanzo del 1938 “Alamut” dello sloveno Vladimir Bartol e pubblicata da Ubisoft per console e PC. Nel frattempo, con Assassin’s Creed: Syndicate i capitoli sono diventati nove, ma il successo di quello che è diventato un vero e proprio brand planetario, con tutta una serie di tie-in (un’opera commerciale di intrattenimento che è stata tratta, con regolare concessione dei diritti d’autore, da un’altra opera di natura diversa, ma con la stessa ambientazione, e in buona parte con personaggi e trama analoghi) come romanzi, fumetti e merchandising di ogni genere al seguito (vestiario, giocattoli, gadget, materiale per la scuola, figurine, ecc…), non sembra volersi arrestare.
A questo punto, potendo contare su certi numeri da capogiro e su un franchise di così alto profilo, la scelta di chiudere il cerchio con un lungometraggio per le sale cinematografiche era solo una questione di tempo. Insomma, all’appello mancava solamente un prodotto per il grande schermo, qualcosa che assomigliasse a quella ciliegina che si è soliti riporre sulla torta una volta completata la decorazione. E l’attesa è finalmente terminata, ora che la Ubisoft e la 20th Century Fox hanno deciso di portare sul grande schermo (in Italia arriverà il 4 gennaio 2017) l’adattamento dell’omonima serie videoludica.
Non nascondiamo che l’attesa è stata altissima sin dall’istante in cui la Major a stelle e strisce ne ha confermato l’acquisizione dei diritti di sfruttamento cinematografico nel 2012. Attesa che si è fatta ancora più spasmodica quando è arrivato l’annuncio ufficiale che al progetto avrebbe preso parte, nella doppia veste di produttore e interprete principale, Michael Fassbender. Il motivo di un così elevato interesse nei confronti del film era legato, oltre alla grande passione per il celebre videogame, alla curiosità nel  vedere come la complessa materia videoludica avrebbe preso forma e sostanza drammaturgica e visiva sullo schermo. A farsi carico di questa enorme responsabilità e del gravoso compito Justin Kurzel che, reduce dalle fatiche della trasposizione del Macbeth, si è lanciato a testa bassa nell’ardua impresa e senza rete di protezione. Del suo operato dietro la macchina da presa, però, parleremo più avanti, perché ci sono pratiche da sbrigare molto più urgenti. Ma procediamo per gradi.
Così come accaduto per altre saghe videoludiche analoghe di grande successo tra cui Prince of Persia o Tomb Raider, anche per Assassin’s Creed non si tratta di un adattamento fedele e diretto di uno dei titoli del videogioco, in quanto la trama è indipendente, pur ispirandosi a numerosi elementi dei vari capitoli della saga. Qui ovviamente si attinge molto al primo capitolo per delineare sullo schermo i tratti somatici principali del plot e di coloro che lo animano, quanto basta per portarli a conoscenza anche dello spettatore che è completamente a digiuno della creatura della Ubisoft. Al contrario, chi ne conosce vita, morte e miracoli, non avrà difficoltà a individuare già dai primi minuti le sostanziali varianti sul tema, a cominciare dal nome del protagonista che da Desmond Miles diventa Callum Lynch, ma anche quello del rispettivo alter-ego del passato che da Altaïr Ibn La-Ahad si tramuta in Aguilar de Nerha. Di conseguenza, anche le identità dei personaggi di contorno mutano, con l’introduzione di nuove figure in entrambe le fazioni in guerra: da una parte l’Ordine Templare, un gruppo che ha come obiettivo il totale controllo sulla vita degli uomini per dar loro uno scopo e guidarli alla vera pace; dall’altra la Confraternita degli Assassini, un’altra fazione che invece vuole migliorare il mondo ispirando la giustizia ed eliminando i tiranni. E a cambiare è pure l’ambientazione e l’epoca, con le lancette del tempo che dal 1191, periodo storico nel quale la Terra Santa è devastata dalla Terza Crociata, si spostano invece alla Spagna del XV secolo. Per il resto, troviamo le Abstergo Industries e naturalmente l’Animus.
Ma entriamo nel dettaglio del plot del film, così da scoprire una volta per tutte le carte presenti sul tavolo di gioco. Nella pellicola di Kurzel, il criminale Callum Lynch viene segretamente salvato da una condanna a morte dalle Abstergo Industries, moderna incarnazione del misterioso Ordine dei Templari. Costretto ad utilizzare l’Animus, un macchinario che gli permette di rivivere i ricordi dei suoi antenati, scopre di discendere da un membro dell’Ordine degli Assassini, Aguilar de Nerha, vissuto al tempo dell’Inquisizione Spagnola, al fine di rintracciare un potente manufatto noto come “Mela dell’Eden”, fulcro di un millenario conflitto tra le società segrete degli Assassini e dei Templari. Rivivendo le sue memorie, Lynch acquisirà le conoscenze e le abilità necessarie a combattere l’Abstergo ed i Templari, da sempre nemici degli Assassini.
Insomma, l’Assassin’s Creed per il grande schermo, come è naturale che sia, pone le proprie basi narrative e drammaturgiche sulle fondamenta della trama del videogioco, prendendone in prestito quella serie di elementi utili per conservarne e riproporne anche al cinema l’anima. Il gruppo di sceneggiatori incaricati della stesura dello script ha saggiamente attinto a ciò che gli serviva e di strettamente necessario per dare vita a una trama indipendente e inedita rispetto alle avventure, alle ambientazioni e alle epoche tirate in ballo nei diversi capitoli della saga videoludica, in modo che potesse camminare con le proprie gambe. Detto questo, però, nella fase di scrittura il suddetto gruppo non è riuscito a governare il gigantesco e incandescente magma narrativo e tematico proveniente dal DNA originale. Pur di fare quadrare i conti e lasciare la porta aperta a nuovi e probabili capitoli cinematografici, il gruppo si è limitato a incastrare i due piani spazio-temporali (il presente e il passato), ma nel farlo non sono riusciti a trovare il giusto equilibrio tra di essi. A pagarne il prezzo più alto è stato il passato, a favore di un presente che, nell’economia del racconto, fagocita e va a occupare gran parte della timeline. Un palleggio migliore e più attento tra i due piani avrebbe evitato lo squilibrio. Questo perché la scrittura ci mette davvero più del dovuto a ingranare, perdendosi nella fase iniziale in una lunga presentazione. Una maggiore sintesi o una graduale dilatazione delle informazioni nel racconto avrebbero sicuramente giovato, impedendo anche una certa confusione nello sviluppo. I tuffi nel passato attraverso il macchinario Animus (cinematograficamente parlando riportano alla mente quelli in altri mondi di Matrix o Avatar, ma anche nella memoria genetica e nei ricordi come Strange Days) si trasformano in parentesi squisitamente spettacolari sul piano visivo, ma depotenziati rispetto al valore, al ruolo e al peso drammaturgico che la matrice originale gli ha sempre attribuito. Di conseguenza, anche i personaggi che lo popolano, a cominciare da Aguilar, ne escono profondamente segnati, per non dire sminuiti, poiché spogliati della loro veste di co-protagonisti per diventare dei comprimari di lusso. Per rendere meglio l’idea: è come avere Messi o Ronaldo in rosa e impiegarli in campo con il contagocce. Metafora calcistica a parte, questo ridimensionamento del piano storico e di ciò che lo anima pesa come un macigno sulla riuscita dello script. L’impressione è che agli sceneggiatori interessino più le dinamiche del presente e la lotta intestina di Callum Lynch all’interno dell’Abstergo e con le vicende familiari che tornano a bussare alla sua porta, che lo scontro titanico tra il bene e il male per salvare il mondo. Fatto sta che l’assenza del suddetto equilibrio mette in discussione, non solo la chiarezza e la scorrevolezza del racconto, ma anche il disegno di tutti i personaggi, principali e non, ma anche i moltissimi e complessi temi affrontati strada facendo (uno su tutti la natura della violenza, il libero arbitrio, la fede e il potere della rivoluzione).
Se la scrittura è il vero tallone d’Achille di Assassin’s Creed, non si può dire la stessa cosa della confezione. Quest’ultima risolleva in parte le sorti dell’opera, traghettandola quantomeno sino alla soglia della sufficienza. Da parte sua, Kurzel dirige con mano ferma e sicura, tanto le pregevoli scene d’azione (il salvataggio del Principe di Granada dalle grinfie dei Templari con tanto di fuga a bordo di carri, fuga dal patibolo e il tutti contro tutti nell’Animus) quanto quelle statiche e dialogiche, aiutato nel compito da un cast (Michael Fassbender, Marion Cotillard, Jeremy Irons, Brendan Gleeson, Charlotte Rampling e Michael K. Williams) e da una troupe di altissimo livello, ma anche da una cospicua dose di eccellente computer grafica. In questo modo, il cineasta australiano riesce a confermare quelle doti stilistiche e registiche già emerse nei lavori precedenti (dall’esordio Snowtown al più recente  Macbeth). In particolare, le scene dinamiche sono, come ampiamente prevedibile, il piatto forte di un menù a base di un mix ben riuscito di arti marziali e parkour (non è la prima volta che si vede al cinema, perché a portare questa disciplina sul grande schermo ci hanno pensato prima i vari Casinò Royale, Bodyguards and Assassins e Banlieu 13), che serve a Kurzel per offrire alla platea qualcosa in grado di compensare il prezzo del biglietto.

Francesco Del Grosso

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