I cacciatori
Non è stato sufficiente stavolta fermarsi in bassa Baviera, per approcciare adeguatamente certe scene di caccia. E con esse, soprattutto, quelle diatribe famigliari e di paese consone alla diffidenza che può caratterizzare comunità chiuse, isolate, tese a preservare qualche stile di vita più o meno antico. Vi è stato infatti bisogno di arrivare fino in Canada!
Presentato assieme ad altri due titoli (Viking di Stéphane Lafleur e Cette Maison della regista Miryam Charles) nella stringata selezione di lungometraggi scelti per la ventesima edizione delle Giornate del Cinema quebecchese in Italia, molto apprezzato in precedenza al Festival du film Francophone de Namur, Arsenault & Fils è in effetti un film ruvido, sanguigno, dalla morale a tratti cinica, che pone i rapporti conflittuali e tesi tra i personaggi principali proprio a ridosso della Natura; nella fattispecie un ambiente naturale selvaggio, boschivo, presso il quale la modernità tenta non sempre con successo di regolarizzare vecchie consuetudini, tra cui la caccia ad animali di grossa taglia come alci e orsi.
Al centro del plot la famiglia Arsenault, un clan apparentemente affiatato che trae profitto dalla caccia illegale dominando da generazioni un piccolo villaggio del Bas-du-Fleuve; per quanto la presenza di Anthony, membro più giovane e – soprattutto – scalmanato della famiglia, rischi di turbare ulteriormente equilibri già minati dall’arrivo di Émilie, una conduttrice radiofonica che pare esercitare un’influenza crescente sia sul fratello maggiore Adam che sullo stesso Anthony. “fratelli coltelli”, potremmo dire. E così, col ritrovamento del cadavere di un forestiero amico però di parte del clan, a quel discontinuo susseguirsi di impronte riconducibili ora al mito della “Wilderness”, ora a un aurorale dramma famigliare, ora alle pratiche del buddy movie e ora a un morboso e rustico “tango della gelosia” tra fratelli, si aggiungerà strada facendo un timbro “giallo” non privo di conseguenze, sull’evolversi del racconto.
Forse troppa carne al fuoco e qualche spunto narrativo introdotto senza la giusta convinzione, nel lungometraggio diretto da Rafaël Ouellet, ma la cura delle atmosfere si lascia comunque apprezzare. Al pari, volendo, di personaggi schietti e credibili, che paiono cuciti su misura rispetto agli interpreti e alla loro fisionomia.
Stefano Coccia