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Argylle – La super spia

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VOTO: 7.5

La donna che visse più volte

Ci era mancato Matthew Vaughn. Tralasciando il superfluo The King’s Man – Le origini, comunque godibile, aspettavamo con una certa ansia un altro lungometraggio all’insegna dell’azione ipercinetica, l’ironia e la bellezza coreografica. Detto fatto. Approda nelle nostre sale Argylle – La super spia, degnissimo prosecutore di una poetica partita con Kick-Ass (2010) e felicemente proseguita con la saga di Kingsman. Almeno per quanto riguarda i due lungometraggi con Colin Firth e Taron Egerton.
Argylle allora. Un’opera che non nasconde, anzi esplicita fino al parossismo, le proprie ambizioni “meta-artistiche”. Elly Conway è una apparentemente tranquilla – tutta casa e gatto – scrittrice di best seller del genere spionistico. La sua parola d’ordine è documentarsi, al fine di donare credibilità alle proprie storie. Forse troppo verosimili, dato che finiscono con sovrapporsi alla perfezione con la realtà effettiva, ovviamente in ambito fiction. In modalità tali da attirare le attenzioni affatto benevole di un’organizzazione clandestina. Un vertiginoso gioco di specchi che rischia di mandare in tilt la sospensione di credulità dello spettatore, almeno fino a quando un’altra, decisiva, rivelazione narrativa rimette in buona parte sui binari la “linearità” della trama. Portando in superfice la fatidica questione su chi sia veramente ogni essere umano che le masse ammirano…
Già la scelta, da parte di Vaughn, di affidare la parte di Elly Conway a Bryce Dallas Howard (ormai ultraquarantenne dal fisico ben in carne) merita riflessione nonché apprezzamento. La figlia d’arte si trasforma nell’arco della durata del film, mostrando i suoi svariati volti ma sempre restando fisicamente sul pezzo. Quasi un monito ad avvertire che l’apparenza fisica conta fino ad un certo punto, e che si può diventare eroi (eroine, nella fattispecie) anche con qualche chilo in eccesso. Vedere la Howard in azione diviene così uno spettacolo nello spettacolo, con alcune sequenze, tipo la sparatoria nel deposito petrolifero, capaci di rimanere ben salde nell’immaginario collettivo anche oltre il tempo della visione. Impossibile poi non citare un Sam Rockwell perfettamente a proprio agio nel ruolo di spalla e angelo custode, controcanto ironico a rappresentare un marchio di fabbrica del cinema di Matthew Vaughn. Il tutto condensato in due ore ed un quarto di visione esaltante, un viaggio sulle montagne russe in giro per il mondo con il supporto decisivo per i due protagonisti di un gatto di nome Alfie, più volte terzo protagonista di un’intricata vicenda dall’andamento fumettistico senza che la provenienza risulti tale.
Forse al di là delle stesse intenzioni dell’autore e dello sceneggiatore Jason Fuchs (dal pedigree non troppo brillante, a dire il vero…) Argylle diventa così purissima rappresentazione del caos in cui viviamo, tra social e derive varie dell’informazione “ufficiale”. La verità – ma anche l’effettiva realtà – diviene anguilla sfuggente, continuamente messa in dubbio da opinioni ai poli opposti soprattutto per ragioni di fede politica, mai così estremizzata come in questo periodo. Se oltre il puro intrattenimento abbiamo anche qualcosa su cui riflettere pare davvero arduo non consigliare Argylle – La super spia come spettacolo adatto a tutti i palati, dagli spettatori occasionali ai cinefili incalliti. Oltre a godersi un cast sopraffino (citiamo anche un vulcanico Bryan Cranston, la rediviva Catherine O’Hara di Mamma ho perso l’aereo, Henry Cavill, Samuel L. Jackson nonché un folgorante cameo iniziale della cantante Dua Lipa) in un’opera dove realmente ogni cosa inimmaginabile potrebbe accadere nell’arco di pochi secondi, ci sarebbe anche spazio per qualche approfondimento su questioni di discreta attualità come la manipolazione e la libertà di scelta. Tutti argomenti sensibili che rappresentano una possibile bussola di orientamento nella nebbia che ci circonda. Elemento tutt’altro che naturale, a dirla tutta.

Daniele De Angelis

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