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An Chúirt (The Court)

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VOTO: 7.5

Scene da un (onirico) matrimonio

Tra i cortometraggi selezionati per la decima edizione dell’Irish Film Festa, corti che spaziavano poi attraverso svariati generi, attraverso differenti approcci stilistici, non sono affatto pochi quelli che ci hanno emozionato, divertito, colpito. Uno dei più piacevoli da seguire è stato senz’altro An Chúirt (The Court) di Seán T. Ó Meallaigh, a suo modo un veterano del festival: anche l’anno scorso fu ospite, in quanto attore nella serie tv 1916 Seachtar na Cásca e del western An Klondike, girati in gaelico come pure il cortometraggio di cui vi andremo a parlare. Uno spigliato lavoro cinematografico, che, lo vogliamo dire subito, ci ha impressionato favorevolmente per l’originalità dell’ispirazione, le trovate assai divertenti, lo stile di riprese eclettico e una morale amarognola più profonda di quanto la clownerie di fondo lascerebbe ad intendere.

Per quanto riguarda l’originalità (o bizzarria) del soggetto, la prima cosa che il regista ama puntualizzare concerne il suo essere un adattamento in chiave moderna del poema epico irlandese Cúirt An Mhéan Oíche / La corte di mezzanotte, scritto da Brian Merriman nel 1780. Da una breve intervista allo stesso Seán T. Ó Meallaigh apprendiamo quanto segue: “È molto divertente! Considerando che risale al 18esimo secolo, è incredibile quanto sia moderno e attinente alla nostra epoca. La forma è simile a quella di numerosi altri poemi dello stesso periodo: la visione di una bellissima donna fa visita al poeta e gli chiede di aiutarla. In genere la donna, che rappresenta l’Irlanda, chiede all’uomo di liberarla dall’occupazione straniera, ma in Cúirt an Mhéan Oíche il problema della donna risiede nel fatto che gli uomini irlandesi sono riluttanti al matrimonio. Il poeta si trova così al centro di una discussione sulla paura che gli uomini hanno di impegnarsi, sulle donne adultere, sui figli illegittimi, l’abolizione del matrimonio e la giusta punizione per gli uomini che non si sposano!
Ebbene, è proprio la forma cinematografica che assume un simile plot ciò che ci ha definitivamente conquistato. Se a colpi di dolly ci viene svelata l’ambientazione, un paesino irlandese di oggi, è quel montaggio iper-cinetico che non rinuncia a scene velocizzate e ad altri espedienti da videoclip a illustrare la quotidianità svogliata del protagonista, interpretato da uno Séamus Hughes particolarmente sornione, più a suo agio con i videogiochi e il divano di casa che con la vita sociale. Una lunga e riuscita sequenza onirica, però, lo metterà bruscamente a contatto con le tare di cui avverte maggiormente la minaccia: ovvero la propria occupazione come barista (da lui scansata volentieri ogniqualvolta gli risulti possibile) e soprattutto quella perdita della libertà personale, da lui associata alle relazioni serie. Una festa di matrimonio pittoresca e dagli esiti inaspettati è difatti la cornice di tale segmento, girato alternando soluzioni da commedia piccante e sboccata a forsennate soggettive. La curiosa allucinazione, nel corso della quale al protagonista ne succederanno di tutti i colori, riuscirà quindi a fargli cambiare idea? Chissà, magari il fatto che a comparirgli nuovamente davanti sia una bella e passionale spasimante, impersonata da Michelle Beamish, che ancora non si è arresa al suo caratteraccio, potrebbe portare a svolte inattese… allo spettatore il gusto di scoprire quale sarà l’epilogo, al termine di una divertente ma non futile sarabanda.

Stefano Coccia

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