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American Woman

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VOTO: 7.5

Un racconto attuale e senza speranza sulla società contemporanea

Nell’anonima, sconfinata provincia americana, Deb Callahan (Sienna Miller) conduce una vita senza pretese e senza progetti. E’ una cameriera in un locale da quattro soldi come tanti, ha molteplici, effimere relazioni con uomini insulsi, anche sposati. Vive con Bridget, sua figlia adolescente, avuta quando aveva ancora 16 anni e che, a quanto pare, ha ereditato dalla madre il modo strampalato di vivere. Anche questa, infatti, è già madre a sua volta del piccolo Jesse, avuto da una relazione alterna con un nullafacente che si droga e non lavora. Proprio dall’altra parte della strada abita la sorella di Debbie, Katherine (Christina Hendriks), che apparentemente è l’esatto contrario: vive con il marito Terry (Will Sasso) che è un uomo semplice, ma premuroso e perbene, ha dei figli in gamba ed è felice della sua esistenza seppur modesta e per nulla avventurosa. Ovviamente, l’immaturità e la sregolatezza di Deb si scontrano con gli inutili tentativi di Katherine di farla ragionare. E nei confronti della madre Peggy (Amy Madigan) e delle sue ovvie preoccupazioni, c’è una costante insofferenza. Su entrambe Debbie sfoga violentemente la sua rabbia e la sua frustrazione nel sentirsi una fallita, pur sbandierando con fierezza tutti suoi difetti come fossero sinonimo di libertà. La necessità di cambiare modo di essere, di maturare definitivamente, arriva a causa di uno degli episodi più traumatici che possa accadere a un genitore: una notte Bridget, dopo aver litigato per l’ennesima volta con il suo ragazzo, decide di tornare a casa da sola e a piedi, ma senza mai arrivare a destinazione. Le ricerche della polizia e di tanti volontari sono infruttuose. Svanisce così nel nulla l’unico punto fermo delle giornate di Debbie, che inizia un faticoso percorso per risalire dall’abisso di disperazione in cui è piombata. Negli anni avvenire è costretta a crescere da sola il nipote Jesse, cercando di essere almeno per lui un esempio decente di madre. Deve fare i conti con le sue debolezze, con le sue ipocrisie e i suoi tantissimi sbagli che, in un modo o nell’altro, continuano a ripresentarsi. Per diventare una donna migliore nell’eterna e vana attesa di veder tornare Bridget.
American Woman, dramma firmato da Jake Scott, figlio del celebre Ridley Scott (che qui appare in veste di produttore), è un film dalla struttura decisamente solida. La regia è di ottimo livello (buon sangue non mente!) e ci conduce con abilità fra le mura delle umili case disperse chissà dove in Pennsylvania. Veniamo immersi completamente in un ambiente fatto di lavori difficili, dove girano pochi soldi che, oltretutto, vanno difesi con le unghie. in un tessuto sociale lacero, composto da famiglie separate e disastrate, con poche eccezioni. Dove la sofferenza scandisce il passare del tempo e, quando anche giunge una parvenza di serenità, o qualche bella notizia, la delusione è in realtà dietro l’angolo. Il cinismo, il pragmatismo, e soprattutto il disincanto sembrano dunque una necessità e mai una scelta. Una pellicola che colpisce nel profondo per la sua durezza, dal taglio a tratti documentaristico. Il merito è anche di un cast estremamente convincente, dalle performance recitative di alto livello, prima fra tutti proprio Sienna Miller, qui in una grande prova emozionale. Nonostante però si venga coinvolti dalle vicende familiari di questa travagliata famiglia delle classi medio-basse, con un trasporto quasi immediato (un altro punto a favore di Jake Scott), mano a mano che la storia procede ci si comincia a fare qualche domanda. Non è solo l’eccessivo minutaggio che probabilmente viene dato ad alcuni passaggi, come la nascita del legame fra Deb e l’operaio Chris (Aaron Paul), ma l’interrogarsi sul senso stesso del partecipare a una narrazione così dolorosa e piena di continue tragedie. Troviamo senza dubbio l’indicazione del coraggio e della forza quali elementi necessari ad affrontare questo ventunesimo secolo. Vediamo chiudersi un cerchio tracciato per molti anni, questo sì, ma rimaniamo comunque con la sensazione che la parola fine non venga affatto messa sulle gravi difficoltà che affliggono Debbie. E’ uno spaccato di vita molto americano, come ci dice il titolo, eppure gli enormi problemi che vediamo appartengono a tutta la società occidentale, piagata com’è da crisi di valori, da famiglie frantumate, da delitti insensati, dal precariato cronico, dalla violenza endemica, dalla mancanza di una visione del futuro. In questo American Woman ci sembra di aprire per un po’ una finestra sul dramma di un intero tempo, osservare sconsolati quel tanto che basta ad avvilirci, quindi richiuderla sapendo che le cose peggioreranno ancora. Per poi chiederci chi ce lo abbia fatto fare di affacciarci, se non per ricordare quanto può essere talvolta dura la vita e quanto fegato ci voglia ad affrontarla.

Massimo Brigandì

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