Home Festival Cannes All We Imagine as Light

All We Imagine as Light

193
0
VOTO: 7.5

Ma ricevette un bollitore di riso

Ogni famiglia di ogni villaggio dell’India ha almeno una persona che vive a Mumbai. Così è detto all’inizio, con carattere enunciativo, di All We Imagine as Light, il film indiano della filmmaker Payal Kapadia, in concorso, e vincitore Grand Prix Speciale della Giuria, al Festival di Cannes 2024. Un ritratto della grande megalopoli sulla costa occidentale indiana e, attraverso di esso, sulla società indiana stessa nel suo complesso, di cui la capitale del Maharashtra rappresenta un concentrato. E un ritratto al femminile attraverso le vicissitudini di due donne, infermiere, coinquiline, in un contesto dove permangono piaghe sociali come il razzismo nei confronti dei musulmani o i matrimoni combinati. La società che Payal Kapadia descrive è ancora quella in cui molte donne non hanno accesso ai sistemi contraccettivi, e nemmeno ne hanno conoscenza, come si vede nelle scene del consultorio all’inizio. Le protagoniste sono infermiere e il loro ospedale diventa una metafora del paese nella prima parte del film. Un paese che è un coacervo multietnico, multiculturale e multilinguistico, dove bisogna trovare qualcuno che parli in hindi per comunicare con un paziente. Ancora la questione femminile è centrale. Anche la gatta del film è di sesso femminile, e la si vedrà subire un’ecografia dal veterinario. Nel corso per le infermiere si parla di ginecologia. Le allieve provano ribrezzo per l’odore di una placenta che viene mostrata loro, e per questo sono redarguite. Il personale ospedaliero deve estraniarsi rispetto al comune senso del gusto e del ribrezzo. Eppure non perderanno i residui negativi della società nel momento in cui disapproveranno, meditando la denuncia, la giovane collega Anu perché si è messa insieme a un ragazzo musulmano.
Payal Kapadia ha scalato ben presto le tappe della sua carriera proprio a Cannes, dove si era fatta conoscere per il suo A Night of Knowing Nothing alla Quinzaine del 2021, un’opera militante con i filmati delle proteste studentesche contro il governo Modi, che hanno coinvolto anche la sua scuola di cinema. Proteste innescate dal suicidio di Rohith Vemula, un dottorando che si vide tolta la borsa di studio per le sue attività a favore del libero accesso all’istruzione anche per i membri della caste inferiori. Coerentemente con il fatto di essere una studentessa di cinema, tra studenti di cinema, aveva realizzato un’opera sperimentale, con tanto di riferimenti a Pasolini e Godard, dove la forma diventava essa stessa atto di militanza, mentre venivano accostati, come simboli della rivolta, Godard e Pudovkin.
Pur con una struttura puramente narrativa, All We Imagine as Light è perfettamente coerente con il film precedente. Viene sviluppato per esempio il tema dell’abbandono dell’uomo dalla donna e della distanza: laddove una studentessa, in A Night of Knowing Nothing, scriveva una lettera al suo fidanzato, di casta più elevata, che era tornato al suo villaggio, qui abbiamo la storia di Prabha, che è stata data in sposa a un uomo che poi è scomparso, emigrato in Germania senza più dare notizia di sé, fino a quando la donna non riceve da lui per posta un bollitore elettrico per il riso. E in All We Imagine as Light tornano le proteste, sia sindacali che contro lo stravolgimento della città, dove nuovi palazzoni e grattacieli stanno cancellando i quartieri poveri. Proteste che peraltro seguono una scena delle infermiere che assistono a una proiezione. Di quel film tornano le scritte godardiane sul fotogramma, qui come visualizzazione dei messaggi dei personaggi. Torna la centralità di quella fase della vita che è quella dell’apprendimento, gli studenti di cinema prima e ora le allieve infermiere. Con la fragilità della figura della giovane Anu, alle prese con le scoperte dell’amore e della sessualità, pur ostacolate in quanto il suo fidanzato è musulmano. E la fresca di studi cinematografici Payal Kapadia sa guardare il mondo con una leggiadria da Nouvelle Vague, nelle carrellate sui mercatini stradali di notte, nelle ragazze che corrono, nelle danze. E memorabili anche le visioni della città, soprattutto notturne, quei palazzi dove ogni finestra è una “finestra sul cortile”.
Nella seconda parte del film, le due protagoniste evadono dalla città in treno, per giungere a un villaggio di campagna sul mare, dove a malapena arriva l’elettricità. Le parabole di vita delle due donne troveranno compimento. Tra le foreste di mangrove, tra i granchi e in una grotta con dei volti scolpiti e delle scritte alle pareti (ancora godardiane?), come “Il nostro amore è un mare senza fine”, Anu troverà il pieno appagamento della sua relazione sentimentale e sessuale. Prabha salverà la vita a un uomo trovato moribondo sulla spiaggia, con le sue competenze da pronto soccorso, nella riconoscenza di tutta la comunità. Una donna è stata in grado di salvare una vita umana. Trovando finalmente così anche il marito tornato dalla Germania. Il quale ricorda che, mentre stava annegando, nel mare cercava di trovare la luce. Tutto ciò che le persone immaginano come luce è il focus del film, luce che emerge come anelito dal buio metropolitano. All We Imagine as Light è un film che cattura lo spirito di una città come Mumbai, una città delle illusioni, fatta di persone che sono in cerca della luce.

Giampiero Raganelli

Articolo precedenteBajo terapia
Articolo successivoVincent deve morire

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

19 − tredici =