Una vita sovraeccitata
Cinque anni dopo Una vita tranquilla (2015), esperimento noir non del tutto riuscito e che si reggeva quasi interamente sull’interpretazione di Toni Servillo, Claudio Cupellini presenta alla decima edizione della Festa del Cinema di Roma Alaska, e l’impressione è quella di un ulteriore passo indietro rispetto al suo già zoppicante lavoro precedente.
Alaska vorrebbe raccontare la storia di un amore difficile e travagliato, quello tra un’aspirante modella francese, Nadine (un’incolore Astrid Berges-Frisbey) e il cameriere d’albergo Fausto (interpretato da un Elio Germano, se possibile, più iracondo del solito), un amore che sarà messo alla prova scena dopo scena, in un susseguirsi di avvenimenti estremi (tanto in positivo quanto in negativo) che va decisamente oltre ogni pretesa di credibilità: i due anni di prigionia scontati da Fausto e il suo improvviso decollo finanziario (fin troppo facile e che rimane senza spiegazione), il successo raggiunto da Nadine (nonostante le premesse suggerissero tutto l’opposto) e il suo incidente automobilistico, poi furti di migliaia di euro, un suicidio, molte risse, un omicidio. Tutto questo (decisamente troppo) avviene in oltre due ore di film, durante le quali gli eventi si affastellano l’uno dopo l’altro, in un crescendo di rabbia e violenza al quale corrisponde una perdita sempre maggiore di credibilità: in Alaska i personaggi agiscono in modo ridicolmente impulsivo, intraprendono azioni importanti senza concedersi il tempo necessario per vagliare le possibilità. In particolar modo Fausto, che ora come ora rappresenta il parossismo dello stile recitativo di Elio Germano, con scatti d’ira urlati ed improvvisi che rendono inconcepibile una prova d’attore misurata.
La stessa sceneggiatura presenta non pochi difetti: alterna una scrittura artefatta e con pochi guizzi a veri e propri buchi nella narrazione, uno fra tutti, la scena in cui Fausto viene percosso dal suo compagno di cella, immediatamente seguita da quella dove quest’ultimo gli si rivolge con un atteggiamento inspiegabilmente premuroso: da dove viene questa tenerezza improvvisa?
Complessivamente, Alaska è un film che indugia eccessivamente su certi particolari (i primi piani dei due amanti, le loro discussioni pressoché interscambiabili) e troppo poco su altri (l’eclatante trionfo dell’ “Alaska”, la discoteca su cui hanno investito Fausto e il suo amico impersonato da Valerio Binasco, rimarrà privo di una giustificazione): 140 minuti utilizzati in modo inadeguato, costellati di una quantità di avvenimenti eccezionali talmente eccessiva che spesso si scade nel ridicolo involontario. Un film del quale se ne fatica a cogliere il disegno sottostante ed il senso, e che sicuramente non rappresenta una novità o comunque un motivo d’interesse per l’intorpidito cinema italiano.
Ginevra Ghini