I pescatori dei Caraibi
Mentre il cinema mainstream è in subbuglio per l’imminente arrivo del più recente prodotto di un brand arcinoto e di successo, ovvero I pirati dei Caraibi, dei Caraibi questo piccolo, sorprendente film distribuito a diversi anni dalla sua realizzazione ci svela ben altro sostrato antropologico: i pescatori. E per essere più precisi quei pescatori che si avvalgono ancora di piccole imbarcazioni e strumenti tradizionali, agendo così in simbiosi con l’elemento naturale, nel loro relazionarsi a un habitat incredibile come quello rappresentato dal Banco Chinchorro, atollo corallino lontano dalla costa 35 chilometri e connotato da una biodiversità la cui ricchezza salta subito all’occhio.
Lode quindi a quella rete di soggetti ultra-indipendenti resasi artefice di una sì virtuosa sinergia, tale da far approdare il film dalle acque incontaminate del Messico (e dai numerosi festival che lo hanno premiato negli anni passati) direttamente nelle sale italiane: i soggetti coinvolti in questa operazione sono Barz and Hippo, Ahora!Film e Rossosegnale, nella fattispecie, ognuno dei quali corrispondente a una piccola realtà distributiva e produttiva volta a favorire la diffusione di simili lavori ossia di un cinema indipendente qualitativamente valido sul nostro territorio, troppo spesso condizionato dallo strapotere delle grosse case di distribuzione. E per servire in tavola un succulento antipasto (rigorosamente di pesce) dell’ormai imminente uscita in sala, Alamar verrà proiettato anche oggi, sabato 20 maggio con doppio appuntamento alle 17 e alle 18.30, nell’ambito della manifestazione culturale più prossima alla filosofia di vita della quale si fa portavoce: il Genova Slow Fish 2017.
In entrambe le occasioni sarà presente la delegazione di Slow Fish Caribe, che incontrerà il pubblico per parlare del film, dei suoi contenuti e di come è stato realizzato presso la Riserva della Biosfera di Banco Chinchorro.
Tale delegazione si trova in quel di Genova a rappresentare il Messico per Slow Fish 2017 con svariati incontri ed eventi, durante i quali racconterà al pubblico le azioni del modello sostenibile della pesca dell’aragosta Chakay nelle due Riserve della Biosfera di Sian Ka´an e Banco Chinchorro.
Ma cos’ha in sé di speciale questo lavoro cinematografico firmato da Pedro González-Rubio (nato in Belgio, con origini messicane), a parte i nobilissimi intenti divulgativi, per giustificare la riproposizione in sala di un qualcosa che risulta datato addirittura 2009? Poema marittimo dal forte impatto visivo e pur così intimo, Alamar è un documentario sui generis la cui evidente drammatizzazione interna crea un fecondo cortocircuito tra l’album di famiglia e la volontà di ritrarre uno stile di vita arcaico, in connessione profonda con la Natura. Non a caso il film inizia con un breve segmento in bianco e nero, che aiuta a riconoscere i protagonisti della vicenda: una coppia in crisi, lei italiana e lui messicano, la cui breve relazione ha portato alla nascita di un figlio, il piccolo Natan, la cui crescita risulta inevitabilmente sospesa tra i due mondi. Dal breve prologo romano, inurbato, ritmato dal traffico della metropoli italiana, si passa perciò alla lunga permanenza del bambino col padre e col nonno su una palafitta nel Golfo del Messico, tra quei pescatori che conoscono a menadito le risorse della barriera corallina. Liquidato il bianco e nero Alamar riacquista quindi colore proprio nei Caraibi. E che colori! Tra acque cristalline, barracuda pescati neanche fossero placidi merluzzi, blatte date in pasto ad uccelli marini di passaggio, piccoli coccodrilli marini in agguato, il piccolo Natan e con lui gli spettatori vengono iniziati a una diversa condizione esistenziale e allo spettacolo offerto da un ambiente naturale unico, che lascia stupiti a ogni inquadratura.
Stefano Coccia