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Al Basateen

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VOTO: 7,5

Il popolo il regime abbatterà!

Nel 2015, interi quartieri tradizionali della Siria sono stati rasi al suolo come punizione per la rivolta delle popolazioni locali contro il regime di Bashar al-Assad. Tra questi c’era anche quello di Basateen al-Razi (“gli orti” in arabo) a Damasco, letteralmente spazzato via dalle cartine geografiche dalle ruspe che hanno cancellato anni di storia e con essa abitazioni, piazze, strade e giardini. Quest’area è destinata a essere sostituita da una vera e propria cattedrale nel deserto chiamata Marota City, un quartiere moderno e connesso con 80 grattacieli tagliato da arterie stradali a triple corsie. Dieci anni dopo, avendo perso tutto, due ex residenti riflettono su quel luogo dove un tempo vivevano e sorgevano i frutteti più antichi della città. Sono loro, la cui identità non verrà mai rivelata e mostrata al pubblico per questioni di sicurezza e incolumità, i protagonisti di Al Basateen (The Orchards), il nuovo progetto audiovisivo di Antoine Chapon, presentato in concorso alla 61esima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema dopo l’anteprima mondiale nella sezione “Forum” della Berlinale 2025.
In Al Basateen, Chapon mette al centro della sua ultima fatica dietro la macchina da presa una memoria che viene risvegliata e resiste a questa deliberata cancellazione. Lo fa creando forme ibride e cross-mediali che utilizzano cinema, animazione CGI e materiale di repertorio per raccontare storie e umanità. Materiali e tecniche eterogenei, fra cui i rendering di regime, diventano un tutt’uno mescolandosi e alimentandosi vicendevolmente fino a ottenere un’opera che sfugge a facili catalogazioni e che solo per una questione di comodità chiamiamo documentario sperimentale. Opera nella quale il sound design (qui firmato da Ryo Baldet) e il suono in generale rappresentano un elemento fondamentale per la trasmissione non solo tecnica, ma anche emotiva.
Con e attraverso il suddetto modus operandi e il coraggio dei suoi testimoni, che si costituiscono giuridicamente parlando”persona offesa”, il regista e artista multidisciplinare francese porta sullo schermo una chiara e decisa denuncia nei confronti della politica di Bashar al-Assad contro le popolazioni rivoltose. Allo stesso tempo l’opera si scaglia contro il mondo imprenditoriale e la speculazione edilizia, parte integrante di queste trasformazioni urbane, così come lo sfruttamento della abbondante manodopera a basso costo. In entrambi i casi ciò al quale assistiamo riaffiorare drammaticamente nella mente altri film che, seppur in situazioni e contesti diversi, hanno portato alle medesime conseguenze: da una parte documentario vincitore dell’Oscar, No Other Land, dall’altra a The Town That Drove Away di Natalia Pietsch e Grzegorz Piekarski, Qui, così come in Al Basateen, si sono consumati dei veri e propri “genocidi culturali” sui quali gli autori hanno voluto accendere una luce per portarli all’attenzione dell’opinione pubblica.

Francesco Del Grosso

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