L’odissea di una rifugiata
Aisha, il toccante film di Frank Berry presentato alla 14ma edizione dell’Irish film Festa, mostra un lato vero ma a tratti scomodo dell’Irlanda di oggi: quella dell’accoglienza ai richiedenti asilo, sospesi in un limbo senza fine. Un argomento attuale nell’Europa della globalizzazione ma che stride con la tradizione irlandese di apertura verso gli immigrati, a riprova dell’avverso cambiamento dei tempi.
Aisha, interpretata da una intensa Letitia Wright, nota, tra l’altro, nell’Universo Marvel per il ruolo di Suri, sorella della Pantera Nera T’Challa, è una giovane donna nigeriana fuggita dal suo Paese dopo l’omicidio del padre e del fratello da parte di alcuni narcotrafficanti; arrivata in Irlanda da sola, sopporta a fatica il trattamento inumano da parte delle guardie di sicurezza del centro dove è parcheggiata, fiduciosa nella speranza che la sua richiesta di asilo venga approvata.
Berry porta sullo schermo un film di finzione che ritrae la nuda realtà; non un documentario, ma un film di grande rilevanza sociale, basato su vere esperienze di chi è scappato da un futuro di morte per ritrovarsi in centri di detenzione, trattato più come oggetto che come persona che cerca solo di ricominciare a vivere.
Il film descrive l’odissea di Aisha; una odissea letterale, nel suo essere spostata da un centro all’altro senza una vera motivazione, neanche fosse un pacco postale giunto all’indirizzo sbagliato, ma anche una odissea di carte e burocrazia, per giungere all’agognata approvazione della richiesta di asilo. Lo stato e i guardiani dei centri sono dipinti come mostri senza cuore, pronti ad afferrare il più piccolo cavillo per respingere i rifugiati, privi di qualunque empatia umana finanche nei confronti di intere famiglie e bambini, artefici di piccoli soprusi quotidiani; ed Aisha, unica a contestarli, ne pagherà il prezzo come ‘insubordinata’. Eppure ce la mette tutta: lavora come parrucchiera per mandare i soldi alla madre rimasta in Patria, ancora in fuga dagli assassini del marito, ha un avvocato che la segue nell’iter per il riconoscimento dello status; ma ha la colpa di pretendere il rispetto dei basilari diritti umani, cosa che la rende invisa al responsabile del centro di Dublino, che organizzerà il suo trasferimento in una sperduta cittadina di campagna in mezzo al nulla, costringendola così a lasciare il lavoro e ad allontanarsi da quella parvenza di vita normale che si era faticosamene costruita. Nel mentre, anche la sua richiesta non ha un esito favorevole; dopo diversi rifiuti da parte delle autorità irlandesi alle richieste della ragazza, l’avvocato tenterà l’ultima carta, quella dell’Alta Corte.
Unico spiraglio di luce nel grigiore della vita di Aisha, un giovane guardiano irlandese del centro di Dublino, interpretato da un eccellente e misurato Josh O’Connor, che trova con la Wright una intesa equilibrata e convincente; ha anch’egli un passato difficile alle spalle costellato di dipendenze, ma ha un cuore buono e sensibile. Cosi, nonostante la diffidenza iniziale di Aisha, che era stata maltrattata dall’ex marito e stuprata dagli assassini dei suoi familiari prima della fuga in Irlanda, tra i due si instaurerà ben presto un rapporto di amicizia, che il regista descrive con delicatezza nella sua timida e gentile evoluzione sentimentale. Cosa ne sarà di loro, come del futuro di Aisha, non è dato saperlo; Berry lascia consapevolmente un finale aperto, ed allo spettatore la speranza in un lieto fine.
Michela Aloisi