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ABC milosci (L’alfabeto dell’amore)

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VOTO: 7.5

Musica e sentimenti nella Polonia pre-bellica

All’insegna della leggerezza, ma volendo anche di un intrattenimento confezionato con gusto e tanto mestiere, la riscoperta cinefila propiziata questa settimana in sala dall’Istituto Polacco di Roma. La sera del 22 giugno è stata infatti proiettata al Nuovo Cinema Aquila, nell’ambito della 20a edizione del festival della cultura polacca Corso Polonia, una deliziosa commedia musicale intitolata ABC milosci (L’alfabeto dell’amore, 1935) e firmata da Michal Waszynski.
Costui non sarà forse noto ai più, qui in Italia, per quanto proprio col nostro paese abbia avuto un rapporto costante (dall’avventurosa, drammatica presenza in prossimità di Montecassino nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, fino alle tre pellicole girate proprio da noi e spesso in collaborazione con Vittorio Cottafavi, la più nota delle quali è senz’altro Lo sconosciuto di San Marino); ed è comunque una carriera degna di nota, quella del cineasta polacco, autore tra l’altro di quello che viene considerato un poccolo capolavoro yiddish, Il dibbuk (Dybuk, 1937).

Girato anch’esso nel periodo pre-bellico e riportato a nuova vita da un’articolata operazione di restauro, ABC milosci (L’alfabeto dell’amore) incanta per la leggiadria delle situazioni sentimentali, per la musicalità dell’intreccio, per lo humour scanzonato e per la simpatia degli interpreti. Tra loro una menzione speciale va senz’altro al cane del protagonista, addestrato così bene a interagire con gli altri personaggi da muoversi in scena con una naturalezza incredibile, sfoggiata di rado a questi livelli da animali impiegati su un set cinematografico.
La trama sembra parlare un linguaggio comune ad altre produzioni dell’epoca, dalle commedie girate in Ungheria a quel “cinema dei telefoni bianchi” realizzato più o meno contemporaneamente in Italia, durante il Ventennio, con un occhio proprio a quei modelli così apprezzati nella vicina Mitteleuropa. Protagonista indiscusso del racconto Wincenty Poziomka (un brillante Adolf Dymsza, approccio al personaggio istrionico e vagamente bohemienne), artista insoddisfatto che coltiva grandi sogni, ma finisce per sbancare il lunario prima scrivendo lettere d’amore su commissione, poi grazie a un inaspettato colpo di fortuna, ossia il negozio di alimentari ereditato da un vecchio zio; ereditato, però, a condizione che egli si prenda cura della nipotina, Basieńka, quasi una “riccioli d’oro” traslata in Polonia. Da questi semplici, finanche stereotipati presupposti, è destinata a svilupparsi una folle sarabanda che vedrà l’emporio al centro di episodi controversi, schermaglie sentimentali ed equivoci a ripetizione; specie dopo l’assunzione dell’avvenente Helenka (Maria Bogda, grazia d’altri tempi), di cui lo stralunato, adorabile Wincenty è segretamente innamorato. Ma parallelamente troverà un paradossale riscontro anche il sogno del giovane di debuttare, dopo mille peripezie, su un palcoscenico importante, grazie alla “mediazione interessata” di un cabarettista di successo e incredibilmente vanesio, l’allampanato Krupkowski (Kazimierz Krukowski).

Specie queste concitate fasi finali sono quasi un sunto della curiosa commistione di elementi tipici della “commedia all’ungherese” e di derive slapstick, quasi da cinema muto, con una comicità molto fisica che diventa a tratti irresistibile. Ma la buona vena registica e l’umorismo di Waszynski, in fin dei conti, si fanno apprezzare in ogni momento, anche all’inizio quando un curioso piano sequenza ci introduce con un movimento verticale (e passando attraverso una serie di cartelli uno più esilarante dell’altro) alla mansarda dove l’aspirante attore non soltanto vive, ma ha pure creato un’improbabile scuola di recitazione, il cui unico allievo sembrerebbe essere… il proprio cane! Ma, come si suol dire, meglio a volte certi cani attori che qualche attore cane, di quelli che vediamo spesso all’opera nelle fiction televisive di oggi.

Stefano Coccia

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