Panta rei
Tornare in un paese, nel quale non si vive più da tanti anni e dove ogni cosa è diversa da quella che si ricorda, non deve essere una cosa semplice. Ma Kalyanee Mam è riuscita, con il suo documentario, a catturare la grazia e l’innocenza di un luogo che sta radicalmente trasformandosi a livello ambientale ed umano. A River Changes Course è il ritratto intimo di tre famiglie cambogiane che si trovano a lottare – in maniera impari – per mantenere uno stile di vita che non venga più risucchiato dalla desolazione – e dannazione – dello sviluppo industriale del paese. Un documentario che non si rivolge al passato ma guarda al presente, e che fa pensare al futuro. Non solo quello di un paese, ma universale. I problemi ai quali la Cambogia sta andando incontro altro non sono che quelli che anche altri paesi stanno affrontando: lo sviluppo industriale sta prevaricando a poco a poco su tanti ettari di foreste, cosi come la pesca scarseggia, a causa delle dighe costruite. La regista ha sentito la necessità di vedere come la popolazione cambogiana stava affrontando questa trasformazione e ha iniziato a girare nel 2010. Molte famiglie sono state costrette ad abbandonare la vita rurale per andare a lavorare nelle fabbriche industriali di Phnom Penh. La vita è mostrata nella sua totale semplicità e sacrificio per molti dei connazionali della regista. Si parla di migrazione urbana, di possibilità lavorative, di sviluppo industriale, di integrazione con il nuovo e di tradizione. La città contro la campagna, un classico, insomma. Un tema già visto, ma mostrato in questo caso attraverso una istantanea dannatamente bella e affascinante.
La Mam, direttore della fotografia per il documentario premio Oscar Inside Job (2010)di Charles Ferguson, ha lasciato il suo paese nel 1979 e prima di diventare una filmmaker ha esercitato la professione di avvocato. La sua affinità verso i personaggi è chiaramente percepita durante tutto il film. Non c’è il solito pietismo nel mostrare la povertà dei suoi soggetti ma quelle immagini perfette a livello visivo che realmente mostrano la dignità e lo sforzo di quelle persone. La giungla è il luogo incontaminato dallo sviluppo, la città, al contrario, è simbolo del cambiamento.
A River Changes Course non ha una voce narrante, eppure l’uso del suono diventa predominante e ci immerge dentro l’ambiente da subito. Dai suoni della foresta a quelli delle barche nelle acque del fiume, fino ai contadini che zappano la terra a quello del riso tagliuzzato. La naturalezza e innocenza di questi suoni mutano poi lasciando il posto alla tecnologia, non appena si entra nel mondo delle fabbriche. Mam cattura con sensibilità l’impreparazione dei suoi connazionali al nuovo lavoro in maniera semplice e nella sua massima innocenza. La regista ha passato diversi giorni con ognuna delle famiglie, durante i lunghi viaggi di due e cinque mesi che faceva ogni volta. Quando ha finito il documentario, Mam è tornata in Cambogia per mostrare il suo film alla comunità, davanti a circa 600 persone accorse da piccoli paesini e dalle campagne circostanti. Un successo che si è replicato non solo in alcuni dei festival cinematografici più importanti, ma anche nelle comunità di paesi sviluppati. Sintomo che ci sono similitudini tra le tre famiglie del documentario e altre famiglie che vivono in paesi avanzati, perché, anche se diverse, in realtà lo spunto di riflessione riguarda l’invasione del moderno che non sempre significa progresso.
Il fiume è il simbolo della vita che scorre, come parte di un ciclo. Se non c’è acqua non c’è vita. Non a caso il titolo originale del film è Kbang Tik Tonle, cioè un termine che descrive la pratica tradizionale cambogiana dell’immersione delle mani nell’acqua per bere poi a mani raccolte. Un gesto che racchiude tutti i significati esistenziali del popolo cambogiano.
Vanessa Crocini