Una vita normale
L’appetito vien mangiando recita un antico detto popolare. Se lo si potesse estendere dalla tavola allo schermo, dalla cucina all’audiovisivo nelle sue diverse forme espressive, allora significherebbe che ogniqualvolta ci si dovesse trovare al cospetto di un film o di una serie made in Corea del Sud l’acquolina in bocca salirebbe alle stelle. La qualità elevatissima, gli standard altissimi e i risultati pazzeschi raggiunti nel corso degli ultimi decenni dalle produzioni cinematografiche e seriali provenienti da quell’area geografica sono sotto gli occhi di tutti. Il ché ha creato delle aspettative enormi in chi come noi tra sale, festival e piattaforme fruisce assiduamente e abitualmente opere sudcoreane. Le medesime aspettative che non potevamo non avere nei confronti di A Man of Reason (Bohoja), il lungometraggio d’esordio alla regia di uno degli attori più popolari del panorama asiatico e internazionale. Stiamo parlando di Jung Woo-sung, la cui opera prima è stata presentata in concorso alla 33esima edizione del Noir in Festival dopo i passaggi nel 2022 in altre prestigiose kermesse come quelle di Toronto e del Sitges.
Per l’occasione, Jung Woo-sung non rinuncia però al suo primo amore, quello per la recitazione, decidendo di lavorare sia dietro che davanti la macchina da presa affidando a se stesso il ruolo di protagonista. In A Man of Reason si cala nei panni di un ex mafioso di nome Su-hyuk che dopo aver scontato una condanna a dieci anni di carcere scopre di avere una figlia e decide di lasciare il mondo della criminalità per condurre una vita normale. Il capo Eung-kook, che era pronto a riaccoglierlo, si sente tradito e incarica Kang, il suo vice, di tenerlo d’occhio. Provando un complesso di inferiorità, Kang si rivolge a una coppia di killer, Woo-jin e Jin-ah, soprannominati «The Washer», per eliminare Su-hyuk. Due assassini dai metodi brutali e spietati che trasformano quel sogno di una vita normale nel più pericoloso degli incubi.
Se questo antieroe riuscirà oppure no a redimersi e a coronare il suo sogno, mettendosi il passato alle spalle e sbarazzandosi di tutti coloro che glielo vogliono impedire, sarà solo la visione a stabilirlo. Certo è che gli eventi che renderanno possibile o no questo nuovo inizio non sono poi così tanto difficili da prevedere o ipotizzare, dato che seguono delle linee narrative e drammaturgiche ricorrenti quanto abusate in questa tipologia di storie. Figure come quelle di Su-hyuk, alla pari delle comprimarie e degli antagonisti, ma anche le dinamiche e gli sviluppi che li vedono protagonisti sono all’ordine del giorno nel gangster movie. Quante volte abbiamo assistito a tentativi di redenzione andati a buon fine e altri no di criminali pentiti intenzionati a uscire dal “giro” e rifarsi una vita, che sarebbero disposti a tutto pur di riuscirci e di difendere con le unghie e con i denti gli affetti che gli sono rimasti. La risposta è semplice: milioni se non miliardi di volte. È un copione visto e rivisto, ma al quale bisogna sottostare come una regola d’ingaggio non scritta per chi decide di confrontarsi con il cinema di genere e non solo con il gangster movie.
In A Man of Reason, Jung Woo-sung, autore anche dello script insieme a Jung Hae-sin, segue infatti traiettorie classiche per il filone di riferimento dal quale non ha nessuna intenzione di staccarsi. Al contrario le sposa fedelmente e vi si appoggia per l’intera durata del film con sacralità. Il ché comporta di riflesso un calo dell’originalità nel plot, alla quale il regista non prova in nessun modo a porre rimedio, quantomeno ad attenuarlo attraverso qualche pennellata personale che possa in qualche modo consegnare allo spettatore di turno delle variazioni interessanti sul tema. Ma non è così e chi sta dall’altra parte dello schermo dovrà accontentarsi di un gangster movie dalla confezione impeccabile (fotografia e montaggio di altissimo livello) che fa della cinetica il valore aggiunto. L’adrenalina sprigionata e iniettata nelle vene del fruitore dalle scene d’azione sia sul fronte marziale (vedi l’uno contro tutti nella bisca con torcia e coltello) che su quello motoristico (su tutti l’inseguimento a colpi di granate tra le strade di Seoul) rappresentano il piatto forte del menù pensato dallo Jung Woo-sung regista per la sua opera prima. Uno show che vale il prezzo del biglietto e che è all’ordine del giorno per gli abituali frequentatori del cinema sudcoreano. Chi si accontenta gode.
Francesco Del Grosso