A come Amore
Secondo Anna (impersonata da Sophie Rois), l’amore è fatto di vocali e tutto ha inizio con una A. A come Anna, appunto, ma anche come Adrien (Milan Herms), un giovane da lei incontrato quasi per caso e che le cambierà la vita. Lei è, dunque, la protagonista del lungometraggio A E I O U – A Quick Alphabet of Love, diretto dalla giovane regista Nicolette Krebitz e presentato in concorso alla 72° edizione del Festival di Berlino.
Anna, dunque, ha sessant’anni e un tempo era un’attrice piuttosto acclamata. Una sera, la donna viene borseggiata proprio da Adrien, un ragazzo di diciassette anni a cui, quasi come per uno scherzo del destino, la donna si ritroverà a dare delle lezioni di dizione, in vista di uno spettacolo teatrale organizzato dal centro di accoglienza in cui il giovane si trova. Malgrado le evidenti differenze, tra i due si creerà immediatamente una particolare alchimia. Dove li porterà questa loro avventura?
In questo suo A E I O U – A Quick Alphabet of Love, Nicolette Krebitz ha voluto innanzitutto omaggiare – attraverso il personaggio di Anna e la sua interprete Sophie Rois – tutti quegli attori non più giovanissimi che a causa della loro età vengono scartati dai principali casting, in favore di giovani emergenti, che, dal canto loro, hanno sempre avuto grande ammirazione per i loro idoli. Anna, dunque, non è solamente un modello per il giovane Adrien, bensì rappresenta tutto ciò che il ragazzo vorrebbe essere: apparentemente sicura di sé, con una vita agiata e rispettata da tutti. I due, tuttavia, scopriranno ben presto di essere molto più simili di quanto inizialmente possa sembrare. E fin qui tutto bene. Ma, di fatto, quante volte abbiamo già visto una storia del genere? Troppe.
Nicolette Krebitz, infatti, dà vita a un lungometraggio dagli intenti indubbiamente sinceri, ma che – penalizzato anche da una regia maldestra e da momenti talmente costruiti da scadere pericolosamente nel pacchiano (vedi, su tutte, la scena in cui Adrien porta in regalo ad Anna due cocorite) – finisce per rivelarsi decisamente banale e a tratti forzato, con una sceneggiatura che, man mano che ci si avvicina al finale, fa sempre più acqua da tutte le parti.
Anna e Adrien hanno un rapporto ambivalente. Mentre Anne ha basato l’intera sua vita sulla recitazione e sul linguaggio, Adrien ha difficoltà proprio a comunicare. L’idea che, dunque, proprio le lezioni di dizione potrebbero rappresentare un loro fondamentale punto d’incontro avrebbe potuto dar adito a spunti davvero interessanti. Peccato che il tutto finisca per assumere le sembianze di una commediola sentimentale da pomeriggio estivo (ossia, quando le emittenti televisive scarseggiano di programmazioni interessanti), che nulla aggiunge a quanto realizzato nel corso degli anni e che, a causa di imbarazzanti scivoloni stilistici, stona decisamente all’interno del concorso di questa 72° Berlinale. E meno male che la nostra Anna, nell’elencare le vocali riguardanti l’amore, si è fermata solo alla lettera A!
Marina Pavido