Le stanze dei segreti
Se nel curriculum vitae da regista puoi contare su un film come Quella casa nel bosco, capace di lasciare con la bocca aperta le platee di mezzo mondo, è normale e altrettanto scontato che le aspettative nei confronti di ciò che verrà da lì a quel momento saranno altissime. Con queste aspettative, Drew Goddard ha dovuto giocoforza farci i conti, poiché il successo planetario e unanime raccolto dalla sua opera prima ha accresciuto in maniera spasmodica il desiderio da parte del pubblico di constatare se quanto visto sul grande schermo nel 2012 non fosse soltanto un miraggio con tanto di fumo gettato negli occhi. Ma per scoprirlo abbiamo dovuto attendere la bellezza di sei anni, con il regista statunitense che nel frattempo ha ingannato l’attesa portando avanti la sua fortunata e prolifica carriera di produttore e sceneggiatore.
Ma ora l’attesa è finalmente finita con l’approdo sul grande schermo di 7 sconosciuti a El Royale, scelto da Antonio Monda per aprire la 13esima edizione della Festa del Cinema di Roma ad una manciata di giorni di distanza dall’uscita nelle sale nostrane con 20th Century Fox. Guardando indietro al folgorante esordio, Goddard non delude le aspettative, ma nemmeno le soddisfa pienamente, o almeno quanto avremmo voluto. Il suo ritorno dietro la macchina da presa, narrativamente parlando, insegue ma non tiene il passo di Quella casa nel bosco, dove era l’insieme a fare la differenza, ossia quel patchwork di generi rielaborato e riportato a nuova vita. Se nel film del 2012 il “magma” di stereotipi, immaginari, citazioni e topos di riferimento legati al filone fanta-horror rappresentava la materia prima alla quale l’autore aveva attinto a piene mani per dare forma e sostanza ad un cocktail di trovate drammaturgiche e soluzioni visive originali, qui il modus operandi, seppur replicato seguendo traiettorie diverse e attingendo da altre fonti, non raggiunge i medesimi risultati. Qui Goddard parte dal thriller vecchia scuola di hitchcockiana memoria per poi dirigersi dalle parti del Tarantino di The Hateful Eight, con il chiaro intento di partorire un mistery scatologico circoscritto tra le mura di un’intramontabile location come l’albergo.
Tra corridoi segreti, stanze e spazi comuni, il regista americano mette in scena una situazione classica in un’ambientazione altrettanto classica, che porta sette estranei, ognuno con un passato da nascondere e un segreto da proteggere, a incontrarsi all’El Royale sul lago Tahoe, un misterioso e fatiscente hotel al confine tra California e Nevada. La notte del loro incontro sarà un momento decisivo: tutti avranno un’ultima, fatidica possibilità di redenzione. Il cineasta americano firma un gioco di specchi costruito su un’architettura atemporale e su una moltiplicazione dei punti di vista, che comunque a tenere incollati gli spettatori alla poltrona sino all’epilogo nella hall, laddove Goddard tira fuori un bel colpo da biliardo ad effetto.
Dal punto di vista della confezione, invece, 7 sconosciuti a El Royale non perde terreno rispetto al precedente, anzi conferma e rilancia le indubbie capacità di messa in quadro dell’autore, che dimostra ancora una volta di conoscere le potenzialità del mezzo a disposizione. Una scena su tutte come la roulette della morte nel finale è la dimostrazione tangibile.
Francesco Del Grosso