A che prezzo?
«È una regola che vale in tutto l’universo
Chi non lotta per qualcosa ha già comunque perso
E anche se la paura fa tremare
Non ho mai smesso di lottare»
Sono solo alcuni dei versi del nuovo singolo di Fiorella Mannoia intitolato “Combattente”. Coincidenza fortuita ma di certo fortunata, è uscito parallelamente alla distribuzione in sala di 7 minuti, regia di Michele Placido, di cui la cantautrice è co-protagonista.
Dopo esser stato presentato in anteprima all’ultima Festa del Cinema di Roma, il lungometraggio è ora al cinema e vi consigliamo di non perdervelo.
Tratta dalla pièce del pluripremiato drammaturgo Stefano Massini, la trasposizione cinematograficata curata dal regista pugliese (ha scritto la sceneggiatura a quattro mani con l’autore e la collaborazione di Toni Trupia) mette ulteriormente a fuoco, grazie alla potenza del linguaggio filmico, ciò che era sgorgato dalla penna dello scrittore. Ci sono diversi punti di forza in questo lungometraggio a partire dalla storia, che porta con sé una carica universale. A veicolarla sono, in particolare, un gruppo di undici donne facenti parti del consiglio di fabbrica, sono loro a dover decidere per tutte se accettare una condizione (apparentemente) “insignificante”: 7 minuti in meno in pausa pranzo. A comunicarla alle altre è la portavoce, Bianca, operaia specializzata (un’impeccabile Ottavia Piccolo, già nel medesimo ruolo nella messa in scena teatrale diretta da Alessandro Gassmann).
Una delle abilità di Massini sta proprio nel sapere bene il peso delle parole di cui troppo spesso ci dimentichiamo l’importanza – Palombella rossa docet. Placido dirige alla perfezione questo cast principalmente al femminile (concedendosi anche un ruolo, ma le vere protagoniste sono loro) che merita di essere citato totalmente: (oltre alle già nominate) Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Luisa Cattaneo, Erika D’Ambrosio, Balkissa Maiga, Maria Nazionale, Violante Placido, Clémence Poésy e Sabine Timoteo. Ognuna di queste interpreti ha colto le peculiarità del personaggio che incarna, fornendo sfumature personali e concorrendo a rilanciare allo spettatore di turno gli interrogativi che operaie e impiegate mettono sul tavolo del dibattito. La macchina da presa cattura i loro sguardi mentre parlano o reagiscono a un’idea espressa da un’altra, così come “ruba” i gesti radiografando il mondo interiore. Tutte loro, di età e nazionalità diverse, madri, figlie, hanno il proprio background che riesce ad emergere in novantadue minuti di film.
7 minuti ha una portata da cinema del reale, pur essendo un lungometraggio di fiction, per la verità che riesce a trasmettere; merito anche della location (una fabbrica che esiste davvero a Latina) e del punto di partenza. Massini si è ispirato, infatti, a una storia vera accaduta in Francia, a Yssingeaux, nel 2012. Non si può rimanere indifferenti mentre queste donne si mettono in discussione. Siamo in un’azienda tessile, ma andando oltre quei confini e ruoli, i ragionamenti che emergono, così come le paure e le fragilità ci appartengono come non mai, ancor più in questo tempo storico, economico e sociale. Mentre assisti alla visione e partecipi a tutto ciò che scorre sul grande schermo come quotidianità e vita, ti senti continuamente interpellato e quasi “vigliacco” perché sai quanto c’entri con te, indipendentemente dalla professione che si compie. Ci teniamo a chiarirlo questa percezione non la si avverte perché 7 minuti punti il dito, anzi, al contrario, ha una completa adesione alla realtà quotidiana e umana, ai diritti che dovrebbero esserci e per cui dovremmo essere disposti a combattere, ma si ha troppo timore di perdere quel “poco” che si ha. A ciò si aggiungono tempi storici differenti rispetto, ad esempio le lotte studentesche e dei lavori negli Anni ’60-’70, e una degenerazione per cui si è verificata la cosiddetta “guerra tra poveri” anziché l’unione e la solidarietà tra chi si trova nella medesima condizione. Ecco 7 minuti parla di storie tangibili e di valori veri. Nel corso del confronto ascoltiamo frasi come «Loro sanno benissimo che faremmo qualsiasi cosa pur di lavorare» e ancora «che cosa sei disposto a perdere pur di lavorare?». Quante volte le abbiamo pensate o quante volte ce le siamo sentite dire?
Queste parole si fanno sempre più largo tra le undici così come tra noi spettatori, esaltate talvolta dalle musiche suggestive di Paolo Buonvino, pronte a toccarci anche quando è il silenzio a prender corpo e, all’occorrenza, a scandire il tempo che scorre in vista della decisione. Il film, al di là della/e storia/e che racconta, fa sentire a ogni spettatore che poi la scelta sta a noi perché «non può essere sempre colpa del sistema».
Maria Lucia Tangorra