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1917

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VOTO: 7.5

This is war

Un lungometraggio in felice antitesi con se stesso, questo 1917 di Sam Mendes. In prima ragione perché ambienta la sua trama in un periodo storico dal cinema poco sfruttato come l’ormai remoto Primo Conflitto Mondiale; arricchito però da una visione tipicamente contemporanea, cioè molto post-post-moderna, se ci passate il termine. Per tale motivo ci pare lecito considerare il film di Mendes un enorme contenitore di istanze propugnate dalla Settima Arte nel corso dei decenni, capace di sconfinare in generi completamente differenti tra loro.
Già la scelta di far sembrare 1917 girato in un unico piano sequenza (ovvero una lunghissima ripresa ininterrotta di un paio d’ore di durata) è di per sé significativa, implicando il coinvolgimento totale nello spettatore in ciò che sta guardando. Quasi un’esperienza sensoriale alla Avatar ma senza l’uso del 3D ad accentuare l’iperrealismo della vicenda fantascientifica. E un po’ di fantascienza c’è anche in 1917, per lo sguardo “alieno” dei due giovani soldati britannici costretti dai superiori ad una missione pressoché impossibile in territorio straniero e perciò ostile, quella Francia del nord al momento occupata dai tedeschi. Mendes, il quale nell’occasione si conferma – da American Beauty a Skyfall – quell’abilissimo funambolo della messa in scena che è sempre stato, si diverte nella cura della regia, pur raccontando una vicenda storica dagli aspetti quantomai tragici. Si balocca con il Cinema, trasfigurandolo nella propria essenza. Dal genere bellico di partenza, come suggerito sin dal titolo, 1917 passa senza soluzione di continuità all’horror, con le masse di cadaveri in putrefazione sparse qua e là lungo il tragitto del percorso compiuto dai due soldati protagonisti. La guerra è questo ed altro in termini di bruttezza, pare sottolineare Mendes, alla lunga persino con eccessivo vigore. Poi la pura avventura, con i cunicoli delle trincee a sembrare gli anfratti delle grotte in cui un certo archeologo di nome Indiana Jones traeva linfa per le sue scoperte. 1917, non certo a caso, vanta alla voce produttiva la Dreamworks fondata da Steven Spielberg. Si affaccia poi il melodramma sentimentale sull’amicizia, quando il grado di pericolo della missione intrapresa sarà destinato, inevitabilmente, ad aumentare. Un aspetto, quello dell’evoluzione narrativa di 1917, che potrebbe prestare il fianco a qualche critica, organizzato come è in una struttura assai somigliante ad un videogame a difficoltà crescente. Del resto anche le nuovissime generazioni pretendono che la Storia venga riletta attraverso i loro codici.
Tutto questo toglie comunque poco alla qualità complessiva di un’opera tecnicamente irreprensibile, da ammirare con lo stupore della sguardo talvolta anteposto al calore del cuore. Ed il risultato del film non sarebbe certo stato lo stesso senza il fondamentale apporto di Roger Deakins alla voce direzione della fotografia. Il collaboratore di fiducia dei fratelli Coen qui si supera, descrivendo un mondo venato al grigio dove “la speranza è un lusso che non ci si può permettere“. Sebbene Mendes alzi poi il tiro delle ambizioni durante una seconda parte forse eccessivamente carica di simbolismi – 1917 è autentico cinema “fisico”, poco avvezzo all’astrazione universale in stile capolavori assoluti tipo Apocalypse Now (1979) di Francis Ford Coppola o Full Metal Jacket (1987) di Stanley Kubrick – il suo film riprende quota nel corso di un epilogo di notevole potenza emotiva, che si richiama direttamente ad un altro lungometraggio anti-militarista incentrato su un rapporto d’amicizia giovanile dal titolo Gli anni spezzati (Gallipoli, 1981), classico purtroppo quasi dimenticato diretto dal grande Peter Weir. Nota di merito infine, oltre agli incisivi camei di Colin Firth, Mark Strong e Benedict Cumberbatch, all’interpretazione di George MacKay nei panni di uno dei due giovani soldati: se esistesse un ipotetico premio da assegnare alla performance più faticosa dell’anno sarebbe già suo di diritto.
Tutto il resto è pura lotta per la sopravvivenza in una guerra faccia a faccia che di umano aveva già perso quasi del tutto ogni connotazione, venendo pagato ad un prezzo altissimo qualsiasi momento di pietas incidentalmente concesso. La misera consolazione è che la Storia dell’umanità, da lì in poi, racconterà fatti anche molto peggiori. Sembrano tempi andati, quelli raccontati in 1917, dove la parola eroismo aveva ancora un senso compiuto. Cento anni fa, anzi di più. Non certo oggi.

Daniele De Angelis

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