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17 anni (e come uscirne vivi)

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VOTO: 7

Singolarità di un’adolescente solitaria

Il punto di partenza, ogni qualvolta le produzioni americane e non solo decidono di cimentarsi nel delicato sottogenere del teen-movie, non può che essere John Hughes. Per comprendere al meglio quanto il cinema dell’autore originario di Lansing, Michigan abbia inciso, nei “magnifici” anni ottanta, su questa tipologia di film, basta analizzare con la dovuta attenzione questo 17 anni (e come uscirne vivi), opera d’esordio di Kelly Fremon Craig, distintasi in precedenza solo per la sceneggiatura del trascurabile Laureata…e adesso? (2009).
Ancora una sottile indagine sulle paure che si agitano nella mente adolescenziale, per l’occasione di una protagonista femminile – non certo a caso: con tutte le possibili licenze poetiche c’è aria di vita vissuta nell’illustrazione dei tormenti della giovane Nadine – divisa tra fratture famigliari, isolamento scolastico (quindi sociale) e sensazione concreta di non sapere quale direzione imprimere alla propria esistenza. Già dalla primissima sequenza la Fremon Craig omaggia Breakfast Club (1985) con l’arrivo al liceo di Nadine, osservato quasi alla stregua dell’accesso verso un’altra dimensione fisica. Anche in 17 anni (e come uscirne vivi) – ben più sfaccettato e affatto gioviale l’originale The Edge of Seventeen, a sottolineare l’indeterminatezza della fase di passaggio verso l’età adulta – l’istituzione scolastica non è un luogo di apprendimento per la ragazza, bensì solo una tappa forzata verso un altro periodo esistenziale. Dopo la morte improvvisa dell’amato padre i rapporti in famiglia sono alquanto labili: mamma svanita e apprensiva in perenne ricerca di avventure, fratello “vincente” (ricordate il Ferris Bueller di Una pazza giornata di vacanza?) che si sistema sentimentalmente con l’unica amica di Nadine. La quale prova, senza molto successo, a dare una parvenza d’ordine al caos che la circonda. Almeno secondo la sua prospettiva. Meno male che, variabile decisiva rispetto alle opere citate, farà sentire la sua presenza il professor Bruner (impagabile Woody Harrelson nella parte), insegnante all’apparenza disinteressato a tutto e tutti, ma in realtà osservatore attento e disponibile a porgere la mano quando necessario.
Come si sarà capito da questa sommaria descrizione del film, 17 anni (e come uscirne vivi) non è la consueta, innocua, commedia para-adolescenziale; bensì un’ulteriore testimonianza di quanto sia difficile, immersi in un’età ingrata dove tutto sembra confuso, tentare di fare la cosa giusta. A maggior ragione se si è provvisti di un’intelligenza e sensibilità fuori dal comune che si rivela un’arma a doppio, profondissimo taglio, capace allo stesso tempo di distinguerti dalla massa ma anche di renderti estranea ad essa, avendo come conseguenza una sorta di solitudine auto-inflitta. La serissima morale di un lungometraggio pieno di verve e con un’evoluzione narrativa originale, sta tutta nella paziente attesa del fatidico momento in cui saranno finalmente chiare le differenze tra vicinanza obbligata e veri affetti, tra l’estemporaneità del sesso e l’autentico amore. Solo allora Nadine – decisiva, ai fini della riuscita del film, l’interpretazione della febbrile Hailee Steinfeld, ammirata quasi bambina nel remake de Il grinta dei fratelli Coen (2010) – comprenderà appieno quanto complessa possa essere la vita nella sua totalità, impossibile da dividere in blocchi separati di bianco e nero filtrati da sarcasmo.
Frequentatori (e non) di multisale dunque all’erta: non fatevi sfuggire questa piccola e sofisticata perla “coming of age” sulla quale la distribuzione italiana ha, purtroppo, puntato pochissimo. Talvolta i prodotti cinematografici di un certo valore è anche più bello andarseli a cercare con un briciolo di intraprendenza.

Daniele De Angelis

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