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1001 Grammi

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VOTO: 7

Sul peso della morte e dell’amore

Grazie a Movies Inspired torna, sia pur in punta di piedi e in pieno periodo estivo, nelle sale nostrane l’autore norvegese più amato dalle nostre distribuzioni, cioè Bent Hamer. Curiosamente, infatti, per un tipo di cinema d’impatto non certo popolare, marcato da atmosfere rarefatte e racconti esemplari pronti a farsi parabole universali sulle contraddizioni del vivere, quasi tutte le opere de nostro hanno ricevuto l’onore dell’uscita italiana: ci riferiamo a Kitchen Stories (2003), Factotum (2005), tratto nientemeno che dal romanzo di Charles Bukowski con Matt Dillon a vestirne i panni dell’alter-ego, Il mondo di Horten (2007) e Tornando a casa per Natale (2010). Quest’ultimo 1001 Grammi ha impiegato due anni, ma alla fine anch’esso ha trovato il modo di farsi vedere – ed apprezzare – dal nostro pubblico.
Anche in questo specifico caso i tratti distintivi del cinema di Hamer sono piuttosto evidenti, esplicati attraverso un lungometraggio che potrebbe essere considerato la summa perfetta del suo cinema nonché romanzo di formazione sui generis sulla scontata impossibilità di controllare con esattezza la propria esistenza. Ad ogni modo la trama vede al centro della narrazione la bella Marie (ben interpretata da Ane Dahl Torp, purtroppo penalizzata da un doppiaggio italiano tutt’altro che irreprensibile), scienziata di un ameno istituto norvegese che studia e cataloga pesi e metrature di oggetti esistenti in natura e non. A seguito dell’improvvisa malattia del padre, responsabile dell’istituto, Marie sarà costretta a prenderne il posto in una serie di conferenze parigine con un importante prototipo al seguito, dove finalmente uscirà dalla monotonia della vita precedente, elaborerà il lutto della (annunciata) perdita del padre e incontrerà la purezza del vero sentimento amoroso. Come ben si comprende da questi sintetici tratti del plot di 1001 Grammi, non è importante il cosa bensì il come lo si mette in scena. Il film vive di beffarde opposizioni piuttosto nette tra l’anonima routine norvegese ed il graduale, risveglio dei sensi a trecentosessanta gradi nell’ambientazione francese. Da una parte l’ansia di interiorizzare qualsiasi pulsione affettiva, ben simbolizzata dall’inconsulta, almeno per certi versi, esigenza di fornire una misurazione fisica ad ogni cosa. Ottimamente riassuntiva della tematica del film, la sequenza che gli fornisce il titolo, cioè il momento in cui la protagonista toglie le ceneri del padre dal contenitore che le ospita per metterle sulla bilancia, sorridendo poi davanti alla “quasi” perfezione del risultato: un chilo ed un grammo. Dall’altra il bisogno, da sempre insito nell’essere umano, di abbandonarsi al flusso vitale senza troppe remore, per assaporare quegli aspetti dell’esistenza altrimenti preclusi. Esattamente ciò che accade a Marie, il cui processo di abbandono alla vita è tratteggiato da Bent Hamer con la consueta sensibilità sia di scrittura che di regia, descrivendo sullo sfondo un universo tanto indecifrabile quanto straniante cui solo l’amore riesce a donare un senso compiuto.
Una lettura morale di 1001 Grammi assieme facile da ricavare e piacevole da vedere, con tanto di disquisizione ironica finale sulle misure dell’amante parigino di Marie: nudi e s’intuisce con chiarezza pronti all’amplesso nella vasca da bagno, lei azzarda un tredici centimetri, lui ribatte con sicurezza quindici. Entrambi sorridono. Poiché dettagli di questo genere possono sì essere importanti, ma non certo fondamentali…

Daniele De Angelis

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