Il pieno e il vuoto
Raffinato gioco di pieni e di vuoti, di silenzi e di suoni, 100 Preludi da qualche giorno si è affacciato in un tempio romano del cinema indipendente, il Nuovo Cinema Aquila, cominciando così a beneficiare di una piccola distribuzione in sala. Eppure il film di Alessandra Pescetta nel cuore di molti appassionati ha già fatto breccia grazie ad alcuni festival: rassegne alle quali ha di recente partecipato, come la capitolina Extramondi, cui se ne andranno presto ad aggiungere altre, in primis il prestigioso festival di Shangai come accennato dall’autrice proprio al Nuovo Cinema Aquila.
Nel cinema di Roma dove lo abbiamo scoperto noialtri, 100 Preludi sarà visibile almeno fino a mercoledì 12 giugno. Poi presumibilmente proseguirà il suo giro. Chi vi si confronterà in sala potrà pertanto godersi un’esperienza così forte, a livello sinestetico, che è persino difficile descriverla a parole. Un po’ come se la poetica dei precedenti lavori di Alessandra Pescetta, sia lunghi che brevi, fosse rifiorita in un’opera che li compenetra, li espande, li compendia, li trascende tutti.
L’ambientazione, anche in questo suo secondo lungometraggio prodotto da Revok in collaborazione con Rai Cinema, MIC ed Emilia Romagna Film Commission, rappresenta per la regista una sorta di protagonista aggiunto. S’intende innanzitutto la città di Ferrara, in questo caso. Le atmosfere del ferrarese, del resto, trasudano arte e un ritmo di vita forse differente, più disteso, del quale ogni tanto anche il cinematografo finisce per accorgersi: pensiamo a Pupi Avati come pure a produzioni più piccole, vedi ad esempio il cortometraggio che vi girarono Anna Elena Pepe e Sebastian Maulucci nel 2021, Miss Agata.
Restringendo ulteriormente l’obiettivo, è il Conservatorio di Ferrara l’epicentro narrativo di 100 Preludi: qui avviene infatti l’incontro tra la violoncellista albanese Mara (interpretata dalla talentuosa musicista Erica Piccotti) e lo stimato, temutissimo, spesso anche spiazzante (e sprezzante) maestro Gabrielli, impersonato invece da un Giovanni Calcagno capace ancora una volta di conferire spessore a un personaggio che, di scena in scena, può suscitare emozioni contrastanti.
Ciò che deriva da questo incontro è a tratti ancora cinema narrativo, ma va anche oltre, diventa poema visivo pronto a giocare sulle più disparate antinomie: il presente e i ricordi; il bianco e nero e il colore; gli spazi pieni di oggetti e quelli vuoti (o appositamente svuotati, come accadrà alla residenza ferrarese di Mara); la passione amorosa e l’indifferenza; il totale di una stanza e il particolare del singolo oggetto; la solitudine e i rapporti famigliari o di coppia; lo stato di Natura e le costrizioni sociali. Fino a sviluppare sinuosamente l’antinomia forse più affascinante di tutte, quella per cui sono la musica e il silenzio a essere chiamati in causa. Contrapposizione solo apparente, giacché – come la stessa Mara avrà ben presto occasione di appurare – in una composizione musicale le pause, quei silenzi carichi comunque di vibrazioni, possono avere un’importanza pari alle note stesse. Un insegnamento musicale. Ma anche etico, esistenziale. Forte poi di quel retaggio orientale, di quel sostrato profondo, che nella poetica della Pescetta fa capolino spesso e volentieri; vedi innanzitutto il ruolo assegnato alla musica nel cortometraggio In the Land of Morning Calm, ambientato non a caso in Corea.
Senza attenerci troppo strettamente al versante diegetico, ovvero agli sviluppi del rapporto tra la giovane musicista albanese e Gabrielli, ci preme giusto sottolineare che quell’invito a svuotare la propria vita e la propria arte di ogni orpello superfluo, decorativo, un invito formulato dal Maestro con quell’aggressività e quella durezza che l’educazione famigliare purtroppo gli ha imposto, verrà recepito da Mara prima in forma convulsa, caotica, quasi autodistruttiva; e poi rielaborato secondo una formula più personale e con esiti a quel punto decisamente catartici, tali da favorire una progressiva riconciliazione con se stessa, con le proprie origini, con l’ambiente circostante e con la stessa passione musicale. Musica, ça va sans dire, che in 100 Preludi è grande protagonista, al pari di un’esplorazione degli spazi tanto raffinata visivamente quanto emotivamente connessa con lo stato d’animo della violoncellista e dei vari personaggi da lei incontrati. Una sorta di costante “terremoto” sonoro e visivo, il film, che fa dialogare incessantemente lo Spirito con la Materia, della quale quasi si percepisce la densità e la consistenza tramite quei dettagli, quelle inquadrature ravvicinate così cangianti ed enigmatiche, che già in un corto come Gilgamesh ci avevano affascinato lasciandoci percepire sottotraccia una matrice misterica.
Stefano Coccia