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Vice – L’uomo nell’ombra

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VOTO: 7.5

Potere occulto

L’ambiguità sta tutta nel titolo originale. Vice, in lingua inglese, mantiene il medesimo significato di quella italiana, ovvero secondo di qualcuno in un’ipotetica scala gerarchica. Però vuol dire anche vizioso, caratterizzato a monte da qualcosa di poco chiaro e pulito. Una duplicità che calza a pennello per la figura di Dick Cheney, oggetto/soggetto di questo debordante biopic diretto da quell’Adam McKay assurto ai fasti cinematografici con il notevolissimo La grande scommessa (2015) dopo una carriera di commediante in lungometraggi da lui diretti che potrebbero definirsi simpatici e arguti, persino satirici, ma comunque non troppo ispirati.
Allora, parafrasando un gergo sportivo, messa in scena vincente non si cambia. Quindi, come nell’appena menzionato La grande scommessa, McKay racconta in Vice – L’uomo nell’ombra, la tragedia come fosse una farsa e viceversa, lavorando in maniera certosina su un montaggio in grado di riassumere gli oltre cent’anni di storia della Settima Arte – c’è persino traccia del cosiddetto “Montaggio delle Attrazioni” teorizzato al tempo da sua maestà Sergej Michajlovič Ėjzenštejn – e accelera i ritmi narrativi fino quasi a farli collassare, praticamente in completa simbiosi con il cuore malato del personaggio principale. Come perfettamente esemplificato in un momento del film, quando scorre la lista degli interpreti a mo’ di chiusura – sia del lungometraggio ma soprattutto della carriera politica del protagonista – quando invece molto altro materiale narrativo e non sarebbe ancora arrivato con il prosieguo dell’opera. Non l’unico spunto dal sapore geniale di un’opera beffarda e discontinua, volutamente incontrollata al pari del magma che fuoriesce da una colata lavica.
Già la scelta di porre come voce narrante della parabola esistenziale di Cheney quella di un personaggio che si dimostrerà essere poi un morto – espediente non nuovo ma qui estremamente funzionale. Ma non spoileriamo oltre – in stretta relazione con lo stesso, si apre ad impensabili vertigini a proposito di una figura “bipolare” come poche altre, riassunta perfettamente da un soliloquio finale molto ben costruito a livello filmico: durante un intervista televisiva l’ormai anziano Cheney distoglie lo sguardo dalla giornalista interlocutrice per rivolgersi direttamente alla macchina da presa, definendosi un valido servitore dello Stato proteso a rendere il paese un luogo più sicuro possibile. E non il bugiardo che, con il pretesto della armi di distruzione di massa e di gruppi terroristici ivi dislocati, ha reso possibile l’ultimo e definitivo intervento militare in Iraq, con relative migliaia di vittime, da una parte e dall’altra, sulla coscienza.
This is America, del resto. Un paese umorale e diviso che dopo la presidenza Obama ha permesso al suo opposto, Donald Trump, di ascendere allo scranno più alto. E ancora prima, ad un George W. Bush, il quale fa il suo ingresso nel film completamente ubriaco in un party organizzato dal padre, di ricevere ben due mandati presidenziali per un tipo che la stessa Lynne Cheney, moglie di Dick e acconciata non casualmente come Hilary Clinton (con quest’ultima in persona, nei continui intermezzi reali di un film che gioca pure con la propria componente documentaristica, impietosamente ricordata per il suo appoggio all’invasione irachena), definisce “un incapace messo in mezzo“. Svelando agli occhi di tutti, prima che lo diventasse di fatto, quanto il vero deus ex machina della politica repubblicana di quel disastroso e lunghissimo periodo di otto anni sia stato proprio Dick Cheney.
Nonostante qualche passaggio narrativo superfluo, vedere ad esempio l’iniziale parentesi del giovane Cheney fannullone e ubriacone prima di essere sin troppo “improvvisamente” folgorato sulla via della politica, Adam McKay ha colpito ancora nel segno, ripercorrendo in modo certosino i passi di una Storia oscenamente satura di contraddizioni per essere, a maggior ragione oggi, archiviata. Supportato dal consueto cast di prim’ordine su cui spicca un Christian Bale – nella parte, ovviamente, di Dick Cheney – impressionante per capacità mimetiche, mentre gli fa degno contraltare un’eccellente Amy Adams nel ruolo di una consorte di lucida intelligenza, Vice – L’uomo nell’ombra possiede il riverbero sinistro di quelle opere dal tocco sottilmente shakespeariano nel ritrarre la nudità assoluta di un Potere talmente fine a se stesso da aver provocato solamente danni incalcolabili. E in questo risiede la grandezza, da qualsiasi punto di vista la si voglia esaminare, sia in negativo che in positivo, di un personaggio di nome Dick Cheney: il Vice che si fece Re in punta di piedi, senza dare troppo nell’occhio. Per tali motivi, probabilmente, ancora più infido e insidioso.

Daniele De Angelis

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