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Totem

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VOTO: 5.5

Faida senza fine

Fratelli coltelli. Premio della Critica alla Miglior Regia del Concorso Internazionale Lungometraggi, in quest’ultima edizione del Ravenna Nightmare, il film del polacco Jakub Charon è una sorta di “Mafia War” dai toni particolarmente lividi, crudi, che pone al centro della scena il difficoltoso rapporto tra due fratelli entrambi coinvolti, pur con ruoli diversi, nei traffici più sporchi della loro città. Il protagonista, conosciuto come Savage, per il fratello Igor si è fatto anche qualche anno di carcere, ma rientrando nel giro ha faticato non poco a ritrovare l’equilibrio perduto, anche per via di quegli affetti famigliari e della morbosa attrazione per una prostituta, che lo porranno nella condizione di fare scelte estremamente rischiose. Specialmente quando un colpo pianificato male metterà lui e altri del suo giro contro gente ancora più spietata, fuori controllo, come certi trafficanti di droga affiliati alla Mafia Serba…

Nonostante quel riconoscimento attribuitogli a Ravenna proprio per la regia, nella sua durata (probabilmente eccessiva) di quasi due ore Totem non è riuscito a catturare del tutto la nostra attenzione: troppo piatto, uniforme, il tono conferito alla narrazione, per quanto sia facile comprendere che ciò dipenda dal crudo realismo che il giovane cineasta (già autore del romanzo da cui il film è tratto) si è sforzato in ogni modo di mettere in scena. Jakub Charon ha senz’altro delle doti, visibili sia nel modo in cui è stato ottimizzato un budget non particolarmente elevato che nelle scelte di montaggio, ad esempio, la cui fluidità (apprezzabile soprattutto nelle ipnotiche sequenze girate di notte in qualche locale o negli sgarrupati ritrovi dei malavitosi) può a tratti rendere conturbante questo sordido romanzo criminale. Tuttavia l’esagerato uso della macchina a mano nei vari regolamenti di conti finisce per risultare alquanto irritante, causando inoltre un po’ di confusione, nello spettatore, riguardo al preciso svolgersi degli eventi. E ciò va ad aggiungersi ad una impostazione drammaturgica di suo fin troppo brusca, rapsodica, da cui trae vantaggio il verismo dell’ambientazione, rafforzato dalla selezione di interpreti senz’altro adeguati, ma di certo non una graduale, armonica fruizione del racconto.

Stefano Coccia

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