Home In sala Archivio in sala Tito e gli alieni

Tito e gli alieni

129
0
VOTO: 7.5

Il “permesso” di vivere

«Quando muore qualcuno, agli altri spetta di vivere anche per lui», scrive Alessandro Baricco. Ci piace esordire con queste parole, apparentemente scontate, per introdurvi a Tito e gli alieni, presentato nella sezione Festa Mobile alla trentacinquesima edizione del Torino Film Festival. L’opera seconda di Paola Randi riesce a rifuggire dalla trappola della banalità anche toccando dei tópoi del genere. Il primo fotogramma, certo, non poteva che essere il cosmo, quello spazio profondo che gli scienziati cercano di catalogare ed esplorare, ma di cui rimarrà sempre una parte misteriosa e in fondo è anche quest’ultima a dettarne il fascino e a stuzzicare la fantasia. Come un “alieno” (nell’accezione metaforica del termine) si presenta uno dei protagonisti: il professore (un Valerio Mastandrea che ben sa rendere pure i tratti più goffi del suo personaggio), dopo un lutto, vive isolato dal mondo nel deserto del Nevada accanto all’Area 51. Ufficialmente è lì per portare a temine un progetto segreto per il governo degli Stati Uniti, nel concreto, però, trascorre le giornate su un divano ad ascoltare il suono dello spazio. Il contatto con l’esterno arriva da Stella (Clémence Poésy), una ragazza che organizza matrimoni per i turisti con la “moda degli alieni” e per lui fungerebbe tecnicamente da autista. Quando arriva un pacco da Napoli, scopriamo insieme a lui che suo fratello (il bravo Gianfelice Imparato, che già aveva lavorato con la Randi in Into Paradiso), in procinto di morire, ha realizzato un videomessaggio, affidandogli i figli, che di lì a poco irromperanno in America. La sedicenne Anita (Chiara Stella Riccio) e Tito (Luca Esposito) di sette anni hanno alimentato l’immaginario su quel continente, sognando le luci di Las Vegas e il padre stesso ha ipotizzato che così avrebbero potuto avere un futuro migliore; mai avrebbero pensato di ritrovarsi in mezzo al nulla.
Come spesso accade nella vita vera, gli urti degli altri possono aiutare a superare i propri, affrontando quei fantasmi che, forse, difficilmente ammettiamo anche a noi stessi. I nipoti, e in particolare il più piccolo, rappresentano proprio questo per il professore.
Partendo dal proprio vissuto e da una reazione di suo padre davanti alla foto della persona amata, la Randi ha dichiarato di essersi «immaginata la realtà vista con gli occhi di qualcuno che aveva perso la memoria, una realtà ricomposta con le risorse straordinarie di coraggio, creatività, umorismo e straordinaria irriducibile leggerezza che appartenevano a mio padre. Non poteva che nascerne un film di fantascienza (genere di cui sono appassionata fin da bambina) con al centro una famiglia». Nel corso della visione si coglie quando la regista ami questo genere, come ne sia costruttivamente imbevuta (impossibile non pensare a suggestioni da Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg o Contact di Robert Zemeckis), restituendoli a proprio modo. Ciascuno di loro tre (e non solo) cerca un contatto con qualcuno molto caro che non c’è più e se ciò non accade, sembra impossibile permettersi di vivere in questo mondo.
Colei che insieme a Federico Parenti e Chiara Sforni aveva dato vita a una rivista e a un festival di portata internazionale dedicato al teatro di ricerca, si mette in discussione sperimentando anche sul grande schermo (basti pensare ai cambi di formato), dove riesce a toccare ciascuno di noi. Uno degli elementi più forti è costituito dal perfetto mix tra i canoni del genere fantascientifico (su tutti la componente surreale) e l’humor partenopeo (spontanei e in ottimo connubio gli interpreti che danno corpo ai fratelli); si gioca così con le potenzialità del linguaggio, sia esso inteso come lingua parlata (vedi i misunderstanding veri e le furbe risposte di Anita «I dont’ understand») che rispetto al fare cinema. In Tito e gli alieni ci si ritrova così a sorridere e commuoversi, merito di battute bilanciate col flusso emotivo. L’augurio è che il film possa essere presto distribuito nelle nostre sale.

Maria Lucia Tangorra

Articolo precedenteArpón
Articolo successivoSami Blood

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here

7 − 6 =