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The Neon Demon

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VOTO: 8

Condannati allo sguardo

L’atto di vedere, in special modo nella società contemporanea, è da considerare alla stregua di un dono divino o piuttosto una condanna senza appello? Su questo ed altri fondamentali quesiti tenta di intavolare un confronto artistico Nicolas Winding Refn con il suo ultimo lavoro – al solito sfuggente a qualsiasi tentativo di classificazione primaria – The Neon Demon, in concorso al Festival di Cannes 2016 dove è stato prevedibilmente accolto da reazioni viscerali in un senso o nell’altro. Sicuramente permeato di una certa scaltrezza nel suo farsi apologo sanguinoso per contrappasso sulla ricerca estenuata della bellezza; probabilmente anche troppo intelligibile nei suoi simbolismi esasperati nonché ridotto ad un grado (sotto)zero nella progressione narrativa, The Neon Demon resta comunque l’ultimo parto creativo di un talento visionario assolutamente unico nel panorama cinematografico mondiale. Composizione dell’inquadratura ai limiti della perfezione, giochi di luce messi in scena con inusitata maestria, rapporto immagine/suono da togliere il fiato. Tutto ciò – e molto altro – fa dell’ultimo lungometraggio di Refn una tappa ancora una volta sostanziale nel percorso sperimentale di un Autore per fortuna del tutto incapace di arrestarsi di fronte ad alcun ostacolo, sia esso squisitamente tecnico che soprattutto di natura morale.
In tutto e per tutto costruito sulla figura di Elle Fanning, sorta di novella Alice in un paese delle meraviglie modaiolo che da subito si rivela una sorta di inferno tanto suadente e affascinante quanto pericoloso nei suoi molteplici aspetti, The Neon Demon può essere vissuto, in prima istanza, semplicemente come l’esaltazione del lato oscuro di una fiaba ciclica e perciò infinita, priva di precisa collocazione temporale. Come il celeberrimo Drive (2011) lo era di molta cinematografia d’azione statunitense anni ottanta, anche quest’ultimo lavoro si rivela, assieme, veicolo di contaminazione tra certo cinema scaturito direttamente dall’inconscio (David Lynch, of course…) e classici excursus sulle rivalità al femminile tipo Eva contro Eva, ma anche compiuta riflessione antropologica su cosa è divenuta, nel frattempo, la realtà che ci circonda. Riflettere, appunto. Nel senso più completo del termine. La funzione degli specchi, in The Neon Demon, esula dal proprio contesto per divenire puro feticcio e moltiplicare la fallacità dell’immagine percepita in superficie. I personaggi principali del film, quasi esclusivamente di sesso femminile, esistono unicamente per come appaiono. Per cui anche la conoscenza più o meno approfondita, similmente a qualsiasi creatura appartenente al regno animale, ha come unico scopo quello dell’appagamento del desiderio sessuale. Esemplare, in questa chiave, il personaggio di Ruby – alla quale Jena Malone, ormai arrivata alla completa maturità artistica, dona quel quid irresistibile di consapevole e tormentata malizia – autentico Virgilio affatto disinteressato che prende per mano l’innocente Jesse/Elle Fanning in un microscomo simbolico a lei sconosciuto. E della quale il destino finale, come ogni favola dark che si rispetti, è scritto sin dalla primissima sequenza.
Non è nostro compito giudicare il fatto se il cinema di Nicolas Winding Refn sia divenuto un marchio, una sorta di brand – sotto il titolo, nei cartelloni pubblicitari campeggiano in verticale le lettere NWR, iniziali del suo nome – da vendere al pubblico come regista “di tendenza” del momento. Ciò di cui siamo consapevoli è che The Neon Demon, come Valhalla Rising (2009) ricreava magnificamente i prodromi di un’indefinita epoca oscura preda della violenza più brutale e perciò costituiva in qualche modo una finestra spalancata sulla contemporaneità, genera un “testo aperto” che richiede, da parte dello spettatore, lo sforzo di leggerne i dettagli, specchiarsi (appunto…) in esso per tentare di comprendere se il punto di non ritorno sia stato già superato o meno. Un’opera dalla doppia anima illusoria, capace di mostrare un’inarrivabile bellezza apparente a celare un baratro di malvagità, perversione e sofferenza (solo fisica?) nei propri angoli più reconditi. Una falsa prospettiva di visione di cui siamo tutti colpevoli e vittime allo stesso modo e al medesimo tempo, perché quel demone che compare sotto la luce falsa del neon – quindi ingannevole in partenza – alligna in fondo in ciascuno di noi. Forse converrebbe leggere – e non solo vedere – un film come The Neon Demon al pari di un saggio teorico in continuo, indefinito arricchimento. Al quale ogni singolo spettatore, preferibilmente di sesso femminile, può aggiungere la sua personale chiave di lettura. Perché è a questo universo vitale e pulsante, nel bene e nel male, al quale Refn si rivolge con rispettoso timore e inarrivabile ammirazione.

Daniele De Angelis

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