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The Happy Prince

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VOTO: 7

L’idolo spogliato

Io sono coperto di oro fino” disse il Principe, “Devi togliermelo di dosso, una foglia alla volta, e distribuirlo ai miei poveri; i vivi credono sempre che l’oro possa renderli felici.
Ci viene presentato un Oscar Wilde malato, sdraiato in un modesto letto all’ interno di ancor più modesta stanza, dove pochi oggetti, come la foto della Regina Vedova, ricordano ancora il suo passato di gloria in Inghilterra. Nelle sue orecchie ci sono ancora le risate e gli applausi, e ai suoi occhi la folla adorante appare, quando lui era il centro della mondanità londinese, ma la realtà è ben diversa: egli è in esilio, sotto falso nome, e con ben poche persone che gli si sono rimasti amiche.
Tramite flashback, in The Happy Prince ripercorriamo brevemente il processo per omosessualità, la prigionia ed i lavori forzati, che piegarono più il suo spirito che il fisico. Il dolore di quei “settecento giorni” è una ferita da cui sono usciti tutti i suoi sentimenti, e come lo stesso Wilde dice agli spettatori “non mi è rimasto più niente, neanche la paura“.
Attraverso i ricordi riviviamo la fatale relazione con Lord Alfred Douglas, che lo condusse alla rovina, senza che, una volta ereditata la fortuna paterna, tendesse mai una mano a Wilde, anche quando questi gliela chiese; scopriamo l’amore che Costance provò per il “suo Oscar”, senza però riuscire a perdonarlo, per l’ennesima volta, facendosi convincere dal suo esecutore testamentario ad impedire al padre di rivedere i suoi adorati figli.
In un continuo pellegrinaggio, prima in Francia, poi a Napoli ed infine a Parigi, Oscar Wilde cerca la serenità di un istante, che troverà solamente tra le braccia di un ragazzino in una squallida stanza affittata ad ore. E così, dopo un “momento purpureo”, nel quale Wilde compra il corpo del fanciullo, il drammaturgo racconta al fratellino del ninfetto la storia del Principe Felice, la stessa con cui faceva addormentare i suoi figli.
Seguendo la rondine scopriamo la miseria umana, quella miseria che avvolse Wilde dopo la caduta, senza mai abbandonarlo, trascinandolo sempre più lontano da quella società che lo acclamava. Non c’è più spazio per quell’ irlandese pederasta tra le brave persone della buona società inglese.
Solo Robbie Ross e Reggie Turner rimasero al suo fianco, fino al’ultimo, cercando di aiutare, in ogni modo possibile, un uomo impossibile, un genio irrefrenabile che aveva fatto del vizio una virtù.
Sto morendo al di sopra delle mie possibilità” disse prima che la malattia gli tolse la forza di parlare. Con ironia affrontò anche la morte, dopo che la vita lo aveva depredato di ogni cosa e di ogni affetto.
Le lunghe scene incentrate sugli addii e sulla solitudine di Wilde rendono The Happy Prince lento a tratti, la mancanza di ritmo narrativo è sorretta dalla bravura degli attori, che portano in scena la tragedia dell’ ostracismo e della brutalità di una società che prima lo evitò e poi, una volta morto, lo pianse.
Rupert Everett descrive ed interpreta un Oscar Wilde stanco, un Principe Felice pronto per essere demolito, ma il cui cuore non vuole essere fuso; la rondine, la società inglese, non potrà che giacere ai suoi piedi, inerte, dopo la dipartita di un simile uomo.
ll film mostra alcune lati più trascurati di Wilde, mettendo in risalto il suo appetito di amore e di attenzione pubblica. Il ritmo lento, con cui avanza la narrazione, fa perdere un poco del fascino del teatro wildiano, veloce ed intrigante.
Primo lavoro di regia e sceneggiatura di Rupert Everett che si cuce addosso il personaggio di Oscar WIlde, da lui tanto amato oltre che tanto conosciuto; ricordiamo infatti Everett nel ruolo di Lord Arthur Goring nel film tratto dalla commedia wildiana Il marito ideale (Oliver Parker, 1999), oltre che nel ruolo di Algernon Moncrieff nell’altra commedia, tratta dall’ opera teatrale di Oscar Wilde, L’importanza di chiamarsi Ernest (Oliver Parker, 2002).
Rupert Everett non è nuovo ad Oscar Wilde, e questo l’ha sicuramente aiutato ad entrare in un personaggio complicato, vanesio, accentratore, un genio indiscusso.

Mara Carlesi

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