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Ojos de madera

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VOTO: 6

Anima lynchiana

Il genere horror, comunemente ritenuto da molti detrattori di caratura bassa, di converso ha sempre affascinato frotte di autori perché, se maneggiato con ingegnosità, può essere un medium potentissimo utilizzabile anche per raccontare altre argomentazioni. Può funzionare per tessere un’intensa metafora che racconti la realtà o il passato, oppure, se realizzato con la perizia tecnica e un tocco raffinato, un valido prodotto filmico d’intrattenimento che eleva, almeno a livello visivo, una storia abusata o poco funzionale. Su questi due solchi citati si adagia Wood Eyes (in originale Ojos de madera), piccolo horror proveniente dall’Uruguay diretto dalla coppia di registi Roberto Suarez e Germán Tejeira.

Lungometraggio ristretto o cortometraggio espanso, Ojos de madera, visto al Festival Cineuropa #32, vuole incasellarsi nel genere del terrore, soprattutto in quella tipologia definita Grand Guignol. Nel film non ci sono scene grondanti sangue, anzi l’unica scena “gore” è inserita alla fine, e chiude la pellicola mentre si dissolve al nero. Le altre scene clou hanno un carattere più sublimato, volgendo molto di più verso una profonda angoscia. L’ottima fotografia in bianco e nero (ma con una veloce entrata di colori di sfumature vintage in alcune scene), tenebrosa e contrastata da opera filmica d’altri tempi curata dal direttore Arauco Hernández Holz (lo stesso di Belmonte), amplifica questo stato di tormento che affligge il piccolo protagonista. Perché quello che interessa ai registi, che hanno imbastito anche la sceneggiatura, è di “rilegare” un racconto visivo sulle difficoltà che possono esserci nell’infanzia di un bambino. Certamente temi già affrontanti in moltissime altre pellicole, come per esempio: l’amore per la madre e l’odio per il padre; la solitudine; la paura per l’arrivo del nuovo nascituro, il mondo esterno. Queste tematiche vengono frazionate in cinque capitoli, e ogni parte è marcata da una didascalia accompagnata da un disegno infantile, che rileva ancor maggiormente questo tentativo di impostare la pellicola come una fiaba – tenebrosa –. L’ambientazione in spazi chiusi e opprimenti, in cui i vani della casa, per esempio, sono parcellizzati per creare dei “paragrafi” alla narrazione, e in cui anche i pochi spazi aperti (il prato del circo) sono angoscianti, se da un lato sono soluzioni attuate per motivi di budget, dall’altro aiutano ad aumentare nello spettatore il turbamento in cui vive il bambino. Sicuramente una fonte d’ispirazione è stata Eraserhead – La mente che cancella di David Lynch, altra disturbante pellicola, e in cui il contrito Henry Spencer è molto similare negli atteggiamenti di questo infante.
Duo registico inedito, ma non di collaborazioni, perché Roberto Suárez, al suo esordio dietro la macchina presa, era stato già attore in quattro precedenti opere di Germán Tejeira (tre cortometraggi e nel lungometraggio Una noche sin luna). Ojos de madera, dietro la raffinata confezione (sarebbe meglio parlare di “rilegatura”, avendo l’essenza di un libello), pecca solamente nella ripetizione, seppure la durata sia breve per essere un lungometraggio. Probabilmente potrà sembrare a molti spettatori una pellicola manieristica, ma uno sguardo la merita per il coraggio e la bravura di tutta la troupe tecnica.

Roberto Baldassarre

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