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Mostri

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VOTO: 7

Ai margini

Tra i film che hanno partecipato all’ultima edizione del Rome Independent Film Festival (R.I.F.F.), nel novembre 2016, ve n’era uno che ha fatto un certo scalpore: Sex Cowboys, premiato non a caso quale miglior lungometraggio italiano. Ma il suo autore, Adriano Giotti, ha all’attivo anche una notevole carriera da cortista. E così il lungo al festival c’è andato in compagnia di un cortometraggio a suo modo complementare, nel rendere l’idea di una poetica così ruvida, aspra, ma al contempo profondamente empatica verso i personaggi che il giovane cineasta toscano ama rappresentare sullo schermo.

Stiamo parlando di Mostri, a suo modo uno dei lavori più radicali e urticanti che Giotti abbia presentato finora. E il rinunciare alle musiche (spesso essenziali nella tessitura emotiva delle sue storie) in favore di una altrettanto severa e minimale predominanza dei rumori d’ambiente non fa che raddoppiare tale impressione.
Il regista già in altre occasioni ha raccontato con fervore esistenze marginali, “borderline”, qui però il disagio è palpabile sin dalle prime inquadrature. E ogni dettaglio viene a comporre un mosaico coerente, nel suo essere disturbante ma in maniera secca, senza ulteriori fronzoli.
Siamo subito proiettati in ambienti di periferia. Un padre dall’aria stanca vorrebbe accompagnare il figlio, che la tossicodipendenza ha visibilmente provato, dal veterinario che li attende per un ben triste appuntamento: la soppressione del loro cane ormai vecchio e malato. Ma forse il figlio vorrà fare tutto da solo. Ecco così un risveglio dalle tinte acide. Mani tremanti che non riescono a fermarsi un attimo. Siringhe. Una moka malmessa con cui il padre tenta di preparare il caffè. Un pusher di zona che aspetta in strada per vendere l’ennesima dose. La fila dal veterinario. Volti grigi che attendono il loro turno. E un inaspettato detour che condurrà entrambi i protagonisti in luoghi ancora più degradati, a due passi dal fiume. Infine quella epifania che potrebbe sembrare persino fuori luogo, l’apparizione iconica dei canini da vampiro, scelta che qualcuno giudicherà forse alla stregua di un piccolo vezzo autoriale ma che in realtà non fa che rafforzare icasticamente una diversità molto concreta, materica, da intendersi sempre sul piano di un grave disagio sociale e del rifiuto, della non appartenenza.

I Mostri di Adriano Giotti risultano poi così veri, credibili, sia per lo sguardo tagliente del regista sul quotidiano che per la sensibilità impressa sui loro volti dai due protagonisti: da un lato il giovane Federico Rosati, dall’altro addirittura Alessandro Benvenuti, grande attore e drammaturgo toscano chiamato qui a cesellare un ritratto umano tanto dolente, intimista e sommesso. Deve essere stato particolarmente emozionante per Adriano Giotti, suo corregionale, poterlo dirigere in un ruolo del genere.

Stefano Coccia

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