Fuga dal blocco H
Inevitabile che ad ogni edizione dell’Irish Film Festa vengano presentate opere che affrontino lo spinoso tema della questione nordirlandese, anche e soprattutto per motivi di memoria storica. Nel caso di Maze, secondo lungometraggio del poco prolifico regista Stephen Burke, si spostano le lancette del tempo fino al 1983, allorquando alcuni detenuti dell’I.R.A. sopravvissuti allo sciopero della fame, poi sospeso, che provocò la morte di molti attivisti tra i quali Bobby Sands, vennero appunto trasferiti nel carcere di massima sicurezza nordirlandese che fornisce il titolo al film. Dove peraltro vennero rinchiusi, per opinabile scelta strategica delle autorità britanniche, assieme a comuni prigionieri lealisti, cioè fedeli alla causa di sua Maestà.
Non traggano comunque in inganno tali premesse, perché il lungometraggio di Burke lascia la questione politica sullo sfondo preferendo evocarla indirettamente dal rapporto umano che si instaura tra il militante Larry Marley e la guardia carceraria Gordon Close, ovviamente su sponde opposte riguardo le posizioni sul conflitto. Tutto ciò dà vita ad un’opera che rifugge programmaticamente qualsiasi tentazione autoriale alla Bloody Sunday (2002) di Paul Greengrass né tantomeno alla Hunger (2008) di Steve McQueen per concentrarsi, oltre che sulla descrizione dei due personaggi principali, in modo palese nell’ambito del classico genere del prison-movie, con percezione quasi tattile di claustrofobico isolamento, violenza sempre in agguato e relativi piani di fuga, poi effettivamente messi in pratica come accaduto nella verità storica dei fatti. Stephen Burke, anche sceneggiatore del film, conduce in porto con abilità pari ad un pizzico di scaltrezza un buon prodotto commerciale – Maze è stato campione d’incassi in patria – che ne conferma le virtù di abile narratore nonché frequentatore di generi differenti, dopo l’escursione nella commedia – sia pur abbastanza atipica – come nell’opera d’esordio Indovina chi sposa Sally (2009), transitata all’epoca anche nelle nostre sale. Maze infatti riesce a tenere desta l’attenzione dello spettatore dall’inizio alla fine, grazie anche al rapporto empatico che stabilisce tra quest’ultimo e due personaggi principali, peraltro ottimamente interpretati da Tom Vaughan-Lawlor (Larry) e Barry Ward (Gordon), in fondo due pedine di un “gioco” che vola molto più in alto delle loro, umanissime, teste.
Lasciamo dunque al fruitore non al corrente dei fatti la curiosità di sapere come si è conclusa la vicenda rappresentata da un film che non disdegna affatto la creazione di una certa, spontanea, suspense al propria interno, come manuale del film di genere del resto insegna. Ciò avviene attraverso l’evasione da un labirinto carcerario – Maze significa appunto questo – che si rivelerà alla fine tutt’altro che privo di falle. Se la volontà di non sposare una delle due cause, da parte di Burke, potrà lasciare insoddisfatto qualche palato tra i più esigenti, nondimeno Maze conduce implicitamente ad una riflessione su tragici fatti storici piuttosto complessa: quante persone, anche del tutto innocenti poiché estranee alla faida, hanno dovuto perdere la vita prima che si giungesse ad una logica trattativa della questione? Domanda valida a tutte le latitudini geografiche, in Irlanda come in Palestina ed altri paesi purtroppo meno sotto i riflettori, senza che il barlume di una risposta sensata venga in soccorso di chi si pone il problema. Certamente non si addentra in tale “labirinto” morale Maze, opera che svolge bene il proprio compito, anche a costo di sfruttare qualche didascalismo di troppo nelle parole messe in bocca alla coppia di protagonisti, seguendo altri, senz’altro legittimi, percorsi.
Daniele De Angelis