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Mary Shelley – Un amore immortale

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VOTO: 5.5

La bella dietro la bestia

Capita spesso di imbattersi in opere letterarie di oggi ma soprattutto di ieri la cui genesi, ispirazione, provenienza e persino paternità/maternità hanno e hanno destato non poche curiosità nel lettore di turno, tanto da spingere quest’ultimo ad andare a scavare sino alle sue radici, vuoi per la natura magnetica e misteriosa del romanzo, vuoi per l’attrazione scaturita nei confronti dei personaggi o della materia narrativa che lo animano e lo alimentano. In tal senso, non sorprende che vi siano stati e continuino ad esserci scrittori o scrittrici capaci con le proprie penne e talenti di entrare a piedi uniti nell’immaginario comune e persino nella storia della letteratura tanto quanto le pagine che portano la loro firma.
L’elenco di nomi è vasto e quello di Mary Wollstonecraft Godwin, meglio conosciuta come Mary Shelley, è uno di questi. Il suo “Frankenstein, o il moderno Prometeo”, pubblicato per la prima volta nel 1818, è tra i capisaldi della letteratura gotica e non solo, oltre ad essere il romanzo con cui nascono ufficialmente le figure del dottor Victor Frankenstein e della sua celeberrima creatura. Figure, queste, tanto quanto l’opera e la penna che le ha generate, che nei decenni a venire si sono trasformate in fonti inesauribili dalle quali la letteratura stessa, ma anche la televisione e il cinema hanno attinto a piene mani. Ci sono casi in cui il fascino intrinseco e l’aurea dell’autore è riuscito persino a offuscare il successo planetario dei suoi scritti, tantissimi altri in cui al contrario i personaggi o le storie da loro “partoriti” ne hanno prevaricato e offuscato i meriti come nel caso della già citata scrittrice britannica. Lo dimostrano le centinaia di produzioni audiovisive realizzate dal 1910 (il cortometraggio Frankenstein di J. Searle Dawley) sino ai giorni nostri (Hotel Transylvania 3 – Una vacanza mostruosa di Genndy Tartakovsky) a tutte le latitudini, che hanno riportato più o meno fedelmente sul piccolo e grande schermo il plot originale del libro che l’ha resa popolare o addirittura stravolgendolo completamente per dare vita a rielaborazioni pochissime volta all’altezza della matrice.
Per rimediare al torto subito, la Settima Arte sta provando a rimediare alla suddetta mancanza con una serie di pellicole che, attraverso la formula collaudata del biopic, rendono omaggio agli artefici di quei capolavori senza tempo che affollano gli scaffali e le nostre menti. Mary Shelley – Un amore immortale di Haifaa Al-Mansour nasce proprio con queste nobili intenzioni, che vanno oltre i meriti o i demeriti riscontrabili dal risultato cinematografico. Come accaduto recentemente con The Man Who Invented Christmas, nel quale Bharat Nalluri ci ha catapultato nell’esistenza di un Charles Dickens alle prese con la genesi de “Il Canto di Natale”, così la collega saudita, già autrice del pregevole La bicicletta verde e dell’imminente Nappily Ever After targato Netflix, ha portato sullo schermo alcuni capitoli della vita della Shelley. Il tono e il registro rispetto a quello del film del cineasta indiano è totalmente indirizzato verso il dramma in costume, con punte di melò a stemperare tale mood.
Trattasi dunque di una biografia parziale, circoscritta a un arco temporale ristretto che non copre l’intera esistenza della scrittrice, bensì una fascia che ne raccoglie gli highlights più significativi e fondamentali. Questi vanno a comporre il tessuto narrativo di un racconto che scorre lineare e che nel mentre si sofferma con una certa attenzione su alcuni passaggi cruciali, come nel caso degli eventi che hanno segnato il rapporto sentimentale ardente e tempestoso con il poeta romantico Percy Bysshe Shelley. Tra questi c’è forse uno dei più controversi e scandalosi realmente vissuti dalla coppia, ossia l’estate del 1816 trascorsa con Lord Byron, John William Polidori e Claire Clairmont in una villa nei pressi di Ginevra, in Svizzera, dove Mary ebbe l’ispirazione per la stesura del suo romanzo. Su ciò che è accaduto o potrebbe essere accaduto in quelle settimane il cinema e alcuni dei suoi esponenti si sono già pronunciati, scivolando persino in derive allucinogene, orgiastiche e mistiche, come nel caso di Gothic di Ken Russell e L’estate stregata di Ivan Passer. Dal canto suo, Haifaa Al-Mansour prende ovviamente distanze abissali da quelle visioni estreme, ma una fetta cospicua della timeline la dedica comunque a quella villeggiatura, poiché è in essa che sono germogliati i semi corrotti del rapporto sentimentale con il marito poeta e quelli miracolosi del suo genio letterario. Lì, tra le crescenti tensioni della loro relazione, nasce l’idea di Frankenstein: un personaggio incredibile, destinato a entrare da protagonista nella cultura popolare per i secoli a venire. Ma la società di allora non attribuiva molto valore al lavoro delle donne. A soli 18 anni, Mary è costretta a sfidare i tanti preconcetti contro l’emancipazione femminile, a proteggere il suo lavoro di scrittrice e a forgiare la propria identità.
Da qui si materializzano le superficiali stratificazioni drammaturgiche e le tematiche chiave di un film che, purtroppo, si dimostra a conti fatti incapace di approfondire con il giusto polso problematiche del passato che secoli dopo produrranno veri e propri tumulti. Mary Shelley si mantiene sulla linea di galleggiamento senza osare, magari avvalendosi di una figura significativa come quella della scrittrice britannica come esempio di una lotta che non è ancora finita e che oggi sta attraversando una fase cruciale. Invece, ciò che ne viene fuori è un ritratto poche volte veramente a fuoco e incisivo sul versante drammaturgico e argomentativo, che fa da controcampo a una confezione mainstream efficace nella messa in scena e nella confezione, in grado persino di scivolare tra le corde del cuore del fruitore quando ai palesano sullo schermo i conflitti verbali tra i due protagonisti. Questi però non sono sufficienti a risollevare le sorti di un qualcosa che sarebbe potuto essere e invece non è stato, del quale si continuerà a ripensare al potenziale inespresso a disposizione, che restituisce una Elle Fanning (nei panni di Mary) e una Haifaa Al-Mansour entrambe a mezzo servizio.
Presentato in anteprima al Festival di Toronto 2017 e in seconda battuta a qualche mese di distanza alla 35esima edizione del Torino Film Festival (sezione “Festa Mobile”), il film sarà in programmazione nelle sale nostrane a partire dal 29 agosto con Notorius Pictures.

Francesco Del Grosso

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