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Koudelka fotografa la Terra Santa

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VOTO: 7.5

La Settima Arte e non solo

La fotografia è verità. Il cinema è verità ventiquattro volte al secondo”, affermava il grande Jean-Luc Godard. Ed è proprio la Verità ciò che il fotografo cecoslovacco Josef Koudelka sembra cercare ininterrottamente durante il suo lungo viaggio in Terra Santa. Trattasi, in questo caso, di una verità presentataci in un’ottica “diversa”, osservata da uno sguardo attento che da molti anni è abituato a non farsi sfuggire alcun dettaglio. Una verità immortalata non solo dalle macchine fotografiche di Koudelka stesso, ma anche dalla macchina da presa del documentarista israeliano Gilad Baram, il quale, per ben cinque anni, ha seguito passo passo il fotografo durante la sua permanenza in Terra Santa, cercando di captare sì i segreti del suo mestiere, ma restando, allo stesso tempo, anche osservatore silente e rispettoso nei confronti di ciò che accade davanti all’obiettivo della telecamera. È da questa esperienza che ha preso vita Koudelka fotografa la Terra Santa, interessante documentario scritto, diretto e prodotto dallo stesso Baram, appunto. Un documentario che riesce immediatamente a catturare l’attenzione dello spettatore, senza mai perdere ritmo o mordente.
Ed ecco che, fin dai primi fotogrammi, ciò che appare sullo schermo è un uomo di spalle intento a cercare un punto adatto ad immortalare il lungo muro che separa Israele dalla Palestina. Basta spostarsi un po’ più a destra, chinarsi un po’ di più e l’angolazione sarà quella giusta. Non resta che scattare la foto, a questo punto. La soddisfazione in seguito al risultato finale, come lo stesso Koudelka sembra comunicarci sorridendo e girandosi verso la macchina da presa, sarà impagabile.
Non parla molto di sé Koudelka. O almeno non lo fa in questo documentario di Gilad Baram. La sua voce fuoricampo si limita a fornirci soltanto poche, essenziali informazioni riguardanti la situazione politica delle terre da lui visitate, il suo passato, i parallelismi tra la Terra Santa ed il suo paese d’origine e, non per ultima, la sua carriera di fotografo ed il suo personale modus operandi. Per il resto, la parola viene lasciata esclusivamente alle immagini. Alle immagini girate da Baram, che ci mostrano Koudelka all’opera, ma anche alle fotografie scattate da Koudelka stesso, tutte rigorosamente in bianco e nero, montate una dopo l’altra ad alternarsi al girato.
Una messa in scena, questa adottata da Baram, volutamente scarna ed essenziale. Non c’è posto, nel suo lavoro, per inutili virtuosismi registici, né per didascalie (fatta eccezione per quella iniziale), né tantomeno per la musica. È come se lo stesso Baram volesse quasi risultare “invisibile”, del tutto riverente nei confronti dell’Artista e dell’arte della Fotografia in quanto tale. Ed ecco che la Settima Arte, dal canto suo, assume qui il ruolo di testimone di qualcosa sito ad un altro livello, ma analogamente adatto a raccontarci la realtà in cui viviamo, la Verità che tutti noi sembriamo cercare ma che non sempre possiamo dire di aver trovato.
Che cos’è, dunque, Koudelka fotografa la Terra Santa? Non – o meglio, non solo – una testimonianza della drammatica situazione israeliana, ma soprattutto una dichiarazione d’amore all’Arte ed a tutte le forme che essa stessa può assumere. Una piccola perla all’interno di una cinematografia – quella israeliana – che difficilmente delude le aspettative di pubblico e critica. Un prodotto piccolo, ma efficace, ulteriore dimostrazione del fatto che, anche con pochi mezzi, il Cinema riesce, in un modo o nell’altro, sempre a lasciare il segno.

Marina Pavido

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