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Montparnasse femminile singolare

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VOTO: 6

Jeune diable au corp

Al di là del giudizio critico post-visione, avvenuta nel corso di Cineuropa Compostela 2017, si rimane sempre sorpresi di come le produzioni francesi sono capaci di fotografare la realtà con un attento piglio d’analisi. Molte storie filmiche sanno captare e analizzare gli individui presi in esame, gli ambienti che li circondano o li inglobano, o anche i momenti storico/politici che presenziano. Narrazioni tanto aderenti al suolo e alla mentalità francese, quanto adatte a etnie di spettatori del restante mondo. E, ulteriore particolarità, riuscire a coniugare l’aspetto autoriale a quello commerciale. Jeune femme di Léonor Serraille rientra in queste definizioni, seppure tende, procedendo nello svolgimento, a perdersi e ingolfarsi nella seconda parte.
Esordio nel lungometraggio della giovane regista lionese, Montparnasse femminile singolare (in originale appunto Jeune femme) è un altro ritratto femminile di donna, come il suo precedente cortometraggio intitolato Body. Anche in questa storia la protagonista Paula inizialmente è solamente un “corpo” in una città, che si trasforma con il tempo e con le esperienze che vive. La pellicola è un bildungsroman trattato come un road movie molto psico-fisico, in cui la regista deve seguire incessantemente i vagabondaggi fisici della protagonista nella città di Parigi, i quali riflettono l’alterato stato psichico del personaggio. L’inizio è violento, con Paula che urla e sbraita contro una porta chiusa, fino a deciderla di colpirla con la testa. Un’azione che denota subito lo stato di salute del personaggio, essere femminino ancora primitivo propensa ad azioni sconsiderate. E le poche informazioni che abbiamo sul suo recente passato, e sul perché di questa rabbia, ci vengono fornite attraverso un finto Close-Up solipsistico e logorroico che ricorda, nello stile scelto, il monologo di Alvy Singer/Woody Allen all’inizio di Annie Hall.
Questi dati ci danno un ritratto odioso della protagonista, ma successivamente si scoprirà che il suo acceso comportamento è anche comprensibile, a causa di errori altrui. Paula, interpretata con trasporto da Laetitia Dosch, sembra uno di quelle figure femminili descritte da Marco Bellocchio, che passano dal completo caos mentale, a un raziocinio interiore. Paula è come se avesse il “diavolo in corpo”, e solo dopo un attento percorso di cambiamento, fatto anche di errori, riesce a cambiare e a maturare. Anche il suo corpo, attraverso questa sua presa di coscienza – e di umiltà – diviene aggraziato e solare.
Mentre il personaggio di Paula riesce a trovare alla fine un suo equilibrio emotivo, la regista Serraille non incontra un fermo bilanciamento creativo. È molto azzeccata la scelta di tessere il dramma che permea la vicenda, esponendolo, però, tramite ampi momenti di commedia o con molte situazioni grottesche. Una “bipolarità” narrativa che rispecchia il comportamento di Paula. Quello che però non rende compatto il film, è una seconda parte in cui molte situazioni diventano ripetitive, con sempre al centro la protagonista, senza dare maggiore spessore ai personaggi che gli ruotano intorno e gli “salvano” la vita. L’inserimento, poi, dei problemi familiari, aggiunge un altro grande discorso che non viene poi perfettamente compattato e portato a termine.

Roberto Baldassarre

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