Conversazione con Abel Ferrara in occasione della 13esima edizione del Salento Finibus Terrae
L’occasione fa l’uomo ladro recita un antico detto, allora quale occasione migliore per un giornalista o critico per intervistare un regista se non l’incontro faccia a faccia durante questo o quel altro festival, per provare tra una domanda e l’altra a strappare dalla sua bocca qualche anticipazione sugli impegni imminenti e futuri dietro la macchina da presa. Nel nostro caso l’opportunità si è materializzata in quel di Fasano durante le giornate conclusive della 13esima edizione del Salento Finibus Terrae Film Festival, dove abbiamo incontrato Abel Ferrara, ospite d’onore della kermesse pugliese, che lo ha visto insignito del Premio Safiter alla carriera lo scorso 26 luglio, non prima di aver presentato al pubblico di turno il suo Pasolini. Ed è proprio dalla pellicola dedicata allo scrittore e regista bolognese che siamo partiti per realizzare questa breve ma intensa intervista.
D: Pasolini ha diviso la critica sin dalla sua prima proiezione pubblica alla 71esima Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia, queste reazioni così contrastanti ti hanno sorpreso, infastidito o le avevi già messe in preventivo?
Abel Ferrara: Tutti quelli che vedono un film lo guardano da un punto di vista personale. Realizzare una pellicola che parla di un personaggio che in moltissimi credono o sentono di conoscere è inevitabile che scateni reazioni diverse e contrastanti, a maggior ragione se si tratta di una figura arcinota come quella di Pier Paolo Pasolini. Lui era una persona vitale e vibrante, fuori dagli schermi, che non aveva paura di dire e mostrare, per cui anche il suo pensiero, i suoi scritti e il suo modo di fare arte, finiva con il dividere e provocare reazioni contrastanti in coloro che ci si confrontavano. La vera critica per me è quella fatta da persone che riescono a farmi scoprire cose e significati nuovi o altri nei miei film. Non sono interessato alla critica sterile che giudica senza argomentare, ma al giudizio in genere, quello di persone che analizzano con attenzione le cose che faccio e dicono la propria a riguardo. Questo perché prima di essere un regista sono uno spettatore e in quanto tale sono interessato alla comprensione e alla comunicazione. Il confronto costruttivo e l’imparare l’uno dall’altro sono per me cose importantissime.
D: I tuoi film narrano storie di religione, redenzione, peccato, tradimento e violenza, quali di questi temi sei riuscito a portare in Pasolini?
Abel Ferrara: Tutte queste cose fanno parte della vita e Pier Paolo ha vissuto la vita. Lui stava comunicando al mondo la sua spiritualità e la sua sessualità. Non era solo un uomo di intelletto che diffondeva la sua poetica e il suo pensiero. Ho cercato di raccontarlo a mio modo, attraverso il mio modo di fare e concepire il cinema, per cui Pasolini è uno specchio che riflette la sua immagine, ma anche lo specchio che riflette il mio cinema. L’ho scoperto gradualmente e tardi, perché all’inizio non sapevo nulla di lui e avevo visto solo Il Decameron. Non sapevo che fosse un poeta e nemmeno della sua sessualità. Questo approccio mi ha dato la possibilità di conoscerlo senza alcun pregiudizio, con la mente sgombera, così da raccontare la sua umanità e non solo la sua arte per come l’ho conosciuta io studiando e leggendo. Questi aspetti riguardano l’esistenza in generale e molti dei temi che tratto nei miei film sono universali, in quanto tali fanno parte in un modo o nell’altro della vita di ciascuno di noi, compresa quella di Pier Paolo.
D: Cosa ti attira delle grandi metropoli che spesso fanno da cornice ai tuoi film, raffigurate nella maggior parte dei casi come delle cloache infernali?
Abel Ferrara: Anche se potrebbe sembrare il contrario non sono attratto dalle metropoli, il fatto che molti dei miei film le raccontano e le mostrano viene inconsciamente perché sono nato e ho vissuto in una di esse, ossia New York. Anche per Pasolini vale quanto detto nella domanda precedente. Per raccontare la vita di Pier Paolo dovevo per forza di cose mostrare l’ambiente che lo circondava, dove viveva, i luoghi e le persone che frequentava, ma anche dove la sua vita ha avuto fine. Per cui la Roma notturna, così come Ostia, non potevano mancare. E questo vale per tutte le precedenti opere che ho firmato, dove per raccontare le vicende di uno o più personaggi dovevo per forza collocarne da qualche parte e il destino ha voluto che fossero quasi sempre delle grandi città…
D: Quali sono i tuoi prossimi impegni dietro la macchina da presa?
Abel Ferrara: Mi sto dividendo tra due progetti che spero di realizzare in un tempo relativamente breve: da una parte un documentario su Padre Pio e dall’altra un film sull’inconscio e il sogno, liberamente ispirato a “Libro Rosso” di Carl Jung, interpretato da Willem Dafoe.
Francesco Del Grosso