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Intervista a Patrizio Partino

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Il Cinema e la Memoria

Partito come montatore, Patrizio Partino si è messo in luce, da regista, con un apprezzato documentario sulla figura di Gian Maria Volonté. Non incentrato unicamente sul talento di un attore chiave del nostro cinema, ma soprattutto sulla straordinaria passione politica che lo animava. Ed il titolo, Dimenticata militanza, rappresenta anche un invito a ricordare sempre l’Uomo prima dell’Artista. Abbiamo avuto il piacere di una chiacchierata a tutto campo con Patrizio. Buona lettura.

D: Quando hai scoperto che il cinema sarebbe stato la tua strada?
Patrizio Partino: Risposta probabilmente abusata, ma credo di poter sfruttare la formula del “parecchio tempo fa”. Anche se non proprio coscientemente, tutto potrebbe esser partito da quando amavo leggere le recensioni dei film del palinsesto ne Il Venerdì di Repubblica o vedere a ripetizione i trailer in tv su Coming Soon Television. Ma volendo trovare un punto più preciso nella linea temporale della mia vita, credo sia il caso di dire due parole in merito al percorso condiviso con il mio amico e collega Paolo Ballarini. Insieme abbiamo iniziato abbastanza presto, mentre frequentavamo le medie, a realizzare cortometraggi e documentari. Creando un progetto nostro, la Zi&Pa Pictures, attivo ancora oggi e che chiaramente è dentro anche a Dimenticata militanza. Ci siamo dati così, fin da subito, l’occasione di sperimentare un po’ le possibilità che il mezzo scelto metteva a disposizione. Sia da soli che, in un secondo momento, coinvolgendo i nostri compagni di classe, i docenti e altre persone. Mi fa sempre un certo effetto ricordare e parlare di questa esperienza, di cui sono molto fiero e che, difficile negarlo, mi ha portato a essere quel che sono oggi, nel bene e nel male. Senza retorica eh per carità, ma non può che essere così. E sono certo che Paolo la pensa come me. Comunque… tutto ciò per dire che, da quell’inizio, in un modo o nell’altro non ci siamo mai fermati.
Poi se fino in fondo il cinema sarà la mia e la nostra strada, ovviamente è sempre da vedere.

D: In che modo la figura di Gian Maria Volonté è stata importante durante il tuo percorso di formazione?
P.P.: Non saprei, sinceramente. Essendo io un montatore o aspirante tale (teniamo sempre conto che in Italia la patente per fare certe cose la danno eventualmente tra i quaranta e i cinquanta anni quando, come tutti sappiamo, si è in piena fase emergente), una figura come Volonté non ha influito particolarmente sui miei interessi diciamo “professionali” e la mia formazione. Di certo però si è trovato sul sentiero di due cose che mi interessano e stimolano: il cinema e la politica. Ma da questo punto passo direttamente alla domanda successiva.

D: Come nasce l’idea da cui ha preso vita Dimenticata militanza?
P.P.: Era il mese di settembre, nel 2016. L’occasione fu la prima edizione del Premio Cesare Zavattini, organizzato dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico di Roma. Mi sentivo particolarmente esortato a prendere parte all’iniziativa e proporre un mio progetto. E ricercando sul canale YouTube dell’archivio mi sono imbattuto in una grande quantità di filmati di natura prettamente politica. Fino a rintracciare ad un certo punto un personaggio comune che metteva in connessione alcuni di questi filmati: Gian Maria Volonté. E poi quasi in automatico: perché non fare un documentario sull’impegno politico di un grande attore come Volonté? Un personaggio come lui schierato già attraverso le sue scelte professionali, ma che aveva collezionato esperienze fortemente politicizzate anche nel privato, da persona comune e da uomo. Un aspetto meno conosciuto rispetto alla sua vita lavorativa. Un documentario del genere sarebbe potuto essere un’occasione per ricordarlo, per celebrarlo, per schierarsi essendo magari un filo polemici e per provare a fare qualcosa di diverso. E a quanto pare l’idea piacque anche alla giuria del premio, che selezionò la proposta.

D: Quali sono stati i principali problemi produttivi e, in generale, quali sono i maggiori ostacoli che un giovane cineasta deve affrontare oggi, nel momento in cui decide di realizzare la sua opera prima?
P.P.: L’ostacolo maggiore sta nel risultare credibile agli altri. Credo sia un punto molto importante questo. Anzi, in questo momento mi vien da dire che è la base, perché è il modo per far si che si crei interesse intorno ad un progetto. Magari il tuo progetto. E quando si è nella fase emergente direi che c’è un notevole lavoro di immagine e di autopromozione fatta con tutti i crismi di cui è necessario occuparsi. Ma non nel senso del “guardate come sono bravo”, “questo sono io”, perché chi se ne frega. Nel momento in cui alle persone mostri solo te stesso è facile che vai di conseguenza a oscurare quel che fai e non è un bene. Il cinema non dovrebbe essere un luogo dove celare un culto della (propria) personalità, ma un’esperienza collettiva, tanto nella realizzazione (la scrittura, il set, la post-produzione) che nella visione (la sala cinematografica).
E detesto chi vuole utilizzare il cinema esclusivamente per accrescere il proprio ego. Detesto proprio, non mi viene termine più adatto.
Ma va beh… dopo questa piccola digressione polemica torno al discorso principale. Stavo dicendo che quando utilizzo la parola autopromozione intendo il farsi strada e riuscire a farsi notare da un potenziale pubblico che non può arrivare con facilità a certe iniziative.
Per questo un discorso a parte meriterebbe l’equivalenza tra i “problemi produttivi” e la “volontà di fare qualcosa seriamente”. Perché insomma diciamolo, non sempre la colpa è del sistema pronto a complottare contro gli emergenti. Non sempre, sottolineiamolo. Circola tanta pigrizia, una notevole quanto sgradevole voglia di sfruttare il prossimo per i propri fini e parecchia mediocrità. Quando personalmente credo che un poco si dovrebbe rischiare per poter realizzare qualcosa di proprio, da qualsiasi punto di vista: economico, intellettuale, politico (si, in questa intervista questa parola la ripeto spesso, come non potrei?). Non aspettarsi sempre la pappa pronta perché nessuno lì fuori se ne sta da una parte ad aspettare di finanziare e supportare le tue idee, che tu sia davvero capace o meno. O la visione distorta magari è la mia?

D: In che modo vorresti sviluppare ulteriormente il tuo documentario?
P.P.: Con il mio tutor del Premio Zavattini, Luigi Perelli, ci siamo detti da subito, sin dal primo incontro che abbiamo avuto in merito al documentario, che Dimenticata Militanza era un documentario nato per essere un lungometraggio. Ma prima di ampliare la ricerca era necessario partire da una prova più piccola, ossia il documentario breve realizzato in occasione del Zavattini. E questo è stato senza dubbio utile, perché ha reso l’idea più vivida e palpabile, ha chiarito meglio le intenzioni e restituito un parametro di fattibilità più marcato. Dunque ora siamo in piena lavorazione della versione lunga. Volendo arrivare a fare un prodotto più esaustivo, riuscito e azzardato è chiaro che le difficoltà non mancano e di ostacoli ne troveremo lungo la strada, dai più banali ai più inaspettati. E poi c’è questo filo rosso della “politica” che boh, a me sembra sia la principale causa di spavento o di diffidenza quando ne parlo con alcune persone.
Un dettaglio che genera conversazioni di questo tipo:
« Stiamo realizzando un documentario su Gian Maria Volonté ».
« Ah si? Che bello! Grande Volonté! »
« Ma incentrato principalmente sul Volonté politico, impegnato, militante ».
« Ah ».
Il perché di questo spavento mi è parzialmente oscuro, neanche stessimo a parlare di un qualche tabù impenetrabile.

D: Gian Maria Volonté è stato probabilmente uno dei più grandi interpreti italiani di sempre. Secondo te qual è, in Italia, un nome che oggi va tenuto d’occhio proprio per il suo talento?
P.P.: Evito i confronti, non avendo strumenti e dati per poterlo fare oltretutto. Ma credo di non dire nulla di nuovo nell’affermare che Luca Marinelli è di certo uno dei più talentuosi attori attivi al momento. Strepitoso in certi bei film (vedi alla voce Tutti i santi giorni di Virzì e Lo chiamavano Jeeg Robot di Mainetti e Non essere cattivo di Caligari). Capace di essere bravo e convincente anche quando probabilmente non è diretto a dovere, quando il personaggio che interpreta non gli sta particolarmente bene addosso o quando il film non è memorabile. Personaggio coraggioso anche nell’esporsi ed esprimere pensieri non particolarmente “popolari” e assolutori. A tal proposito sono da leggere un paio di interviste rilasciate qualche tempo fa a la Repubblica e al Corriere della Sera dove tra le altre cose Marinelli accenna al suo colloquio con Lina Wertmüller per entrare alla Scuola Nazionale di Cinema di Roma e si esprime in merito al fatto che un attore debba saper dire no a certi ruoli.

D: Hai già qualche nuovo progetto per il futuro?
P.P.: Ci sono molte idee in ballo, spunti, riflessioni e così via. Ma insomma funziona in questo modo per tante persone, niente di unico. Capita che si vede un film, si ascolta un brano, si legge un libro, si scarabocchia qualcosa, si passeggia per strada e all’improvviso sgorga un’idea, anche solo una simpatica trovata che potrebbe però evolversi a tarlo da trasformare poi in qualcosa di più. Per ora cerco di fare bene il mio mestiere e ovviamente concentrarmi al massimo su Dimenticata Militanza. É un progetto a cui tengo e teniamo molto, che necessita di tutte le attenzioni possibili. Per ciò che eventualmente verrà dopo, credo sia giusto, utile e corretto pensarci tra un po’.

D: Se potessi esprimere un desiderio, quale sarebbe?
P.P.: Avere la possibilità e il privilegio di poter ricevere qualche buon consiglio dagli immensi (e a rischio oblio, in particolar modo il primo dei due) Franco Arcalli e Mario Bava.

Grazie per l’intervista.

Marina Pavido

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