Non è mai troppo tardi: breve incontro con l’attore siciliano al Salento Finibus Terrae 2016
Lando Buzzanca non ha mai avuto molta familiarità con i premi, tanto che si contano sulle dita di una mano. Nella bacheca del celebre attore palermitano figurano, infatti, pochi allori, tra cui la Colonna d’Oro alla carriera al Magna Grecia Film Festival 2014 e il Globo d’Oro al miglior attore per la sua interpretazione ne I Viceré di Roberto Faenza nel 2007 (che le è valsa anche una nomination ai David di Donatello). Quest’ultimo non a caso assegnato dalla Stampa Estera in Italia. Lui attribuisce la causa alle sue dichiarate simpatie per la destra, che hanno portato registi e produttori di sinistra al boicottaggio. Per quanto ci riguarda, non sono le targhe, le pergamene o le statuette di turno, tantomeno gli indirizzi politici, a stabilire quale siano gli effettivi meriti e valori di un artista, chiunque esso sia. Di conseguenza, noi di Cineclandestino prendiamo le distanze da qualsiasi tipo di polemica sull’argomento in questione, per accogliere invece con entusiasmo il premio Safiter alla carriera consegnato a Buzzanca durante la serata finale della 14esima edizione del Salento Finibus Terrae Film Festival in quel di Borgo Egnazia, lo scorso 29 luglio 2016. Ed è proprio lì, nell’incantevole e suggestiva cornice del noto Resort penta stellato del brindisino che lo abbiamo incontrato per una breve chiacchierata. Un’occasione, questa, più unica che rara per ripercorrere velocemente una carriera lunga e piena di soddisfazioni professionali, che lo hanno portato ad attraversare diverse stagioni del cinema, della televisione e del teatro nostrani, entrando di diritto nel cuore e nell’immaginario popolare.
D: Qual è, tra i tanti grandi registi con i quali ha lavorato nell’arco della sua lunga carriera, quello che ricorda con più affetto e stima?
L.B.: Pietro Germi senza se e senza ma. Con lui ho fatto due film, a mio avviso uno più bello dell’altro, ossia Divorzio all’italiana e Sedotta e abbandonata, dove vesto rispettivamente i panni di Rosario Mulè e Antonio. Poi mi aveva voluto per un terzo film, ancora più complesso e con un personaggio ancora più bello dei precedenti, che lui riteneva potessi fare solo io. Se non erro il film era Signore & Signori. Ricordo che mi telefonò tutto entusiasta per propormi il ruolo, ma quando me lo chiese ero impegnato su due set, tra cui quello di Caccia alla volpe di Vittorio De Sica. Per cui dovetti rifiutare. Poi ho visto il film e mi sono mangiato le mani, perché il personaggio che mi aveva offerto era straordinario. Un altro con il quale mi sono trovato molto bene è Pasquale Festa Campanile, che amichevolmente avevo soprannominato Din Don Dan. A lui dava un po’ fastidio, ma alla fine ci scherzavamo su. Lui mi dava grandissima libertà sul set e si fidava cecamente di me e dei miei consigli. Con lui stavo benissimo e abbiamo fatto più di un film insieme, da Quando le donne avevano la coda a Il merlo maschio.
D: Qual è il suo più grande rimpianto?
L.B.: Avrei dovuto fare un film dal titolo Venga a prendere il caffè da noi, dal romanzo di Piero Chiara. Avevo letto e adorato quel libro. Poi il film lo fece Alberto Lattuada, interpretato magistralmente Ugo Tognazzi. Avrei tanto voluto farlo io, ma sono sicuro che non lo avrei interpretato bene come Ugo. Forse questo è il mio più grande rimpianto.
D: Scorrendo nella sua biografia c’è anche un’esperienza da cantante: negli anni Settanta e inizi anni Ottanta ha inciso dei brani, come è nata la passione per la musica?
L.B.: Nel 1970 ho fatto al fianco di Delia Scala il varietà televisivo su Rai Uno in sette puntate dal titolo Signore e Signora, per la regia di Eros Macchi, in cui ho improvvisato dei brani musicali. I produttori e autori dell’epoca mi dissero che avevo una bella voce, ma nessuno di loro mi ha mai pagato per quei brani [sorride]. Guadagnavano senza dirmi mai nulla sugli introiti. Ma la verità è che il canto non mi interessava, per cui l’esperienza è stata molto breve.
D: Quale o quali sono secondo lei i problemi con i quali si scontrano oggi gli attori?
L.B.: Il grande difetto degli attori di oggi è che tendono a interpretare più volte lo stesso ruolo, diventando schiavi dei personaggi che interpretano. Ad esempio, se fanno i banditi continuano a fare i banditi. Di conseguenza, il pubblico inizia a identificarti solo ed esclusivamente con quel tipo di personaggio. In più, è venuta meno la versatilità, che era una caratteristiche dei grandi interpreti del passato.
D: E lei come è riuscito a non finire in quella gabbia?
L.B.: Semplicemente analizzando bene il personaggio che mi offrivano di volta in volta. Quando avvertivo la sensazione che i produttori o i registi provavano a farmi fare lo stesso ruolo più volte, o che le sue caratteristiche erano simili a quelle di un personaggio che avevo già interpretato precedentemente, allora rimandavo al mittente le proposte. Questo passava attraverso una lettura molto attenta dei copioni. In più prendevo informazioni su chi li aveva scritti, così da farmi un’idea più chiara sul progetto e su chi me lo proponeva.
D: Tra cinema, teatro e televisione, dove si è trovato più a suo agio?
L.B.: Senza alcun dubbio al cinema, ma sono molto soddisfatto anche di quello che ho fatto sul piccolo schermo, come ad esempio con la serie di grande successo Il restauratore, che ha avuto grandissimi ascolti. Mi ricordo che mi fermavano anche i bambini per strada per farmi i complimenti per quello ruolo e questo mi dava moltissima gioia. Sapere che ciò che facevo piaceva anche a un pubblico non adulto mi riempiva il cuore.
D: Qual è l’attore o il regista che secondo lei non è stato celebrato quanto invece avrebbe meritato?
L.B.: Luciano Salce. Lui era un vero artista, dotato di grande ironia e che si metteva spesso in gioco. Un grande uomo, di una cultura incredibile. Ma a un certo punto avevano smesso di scritturalo come regista e di fargli fare i film, tanto è vero che mi sono dovuto impuntare per avere lui a dirigermi per Io e lei, da un soggetto di Alberto Moravia. Quest’ultimo mi volle incontrare per farmi i complimenti. Mi invitò un giorno a pranzo a casa sua dopo aver visto il film. Mi ringraziò e mi disse che ero stato l’unico attore sino a quel momento ad aver interpretato un personaggio da lui creato, esattamente come lui lo aveva scritto. Questo mi fece moltissimo piacere. Allo stesso tempo quello fu un complimento rivolto a Salce e un giusto riconoscimento nei confronti del suo lavoro.
Francesco Del Grosso