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David Lynch a Lucca

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“David, se sei così felice, perché fai quei film?”

“La gente mi chiede: ‘David, se sei così felice, perché fai quei film?’. Il fatto è che io mi innamoro di alcune idee, e mi sento felice mentre le realizzo. Le idee attingono al mondo che ci circonda, e nel mondo che ci circonda c’è molta oscurità”.
E’ un David Lynch ironico e disponibile quello che risponde alle domande dei giornalisti nell’Auditorium di San Micheletto, a Lucca. Oggi, 28 settembre, inizia ufficialmente la decima edizione del Lucca Film Festival, di cui il grande regista americano è ospite d’onore. Oltre a una retrospettiva completa dei suoi film, il Festival presenterà in anteprima nazionale la mostra David Lynch. Lost Visions. L’indiscreto fascino dello sguardo, dedicata alle fotografie e alle litografie del regista.
Alle domande a tema cinematografico, Lynch risponde in modo telegrafico, tagliente, spesso divertente. Come quando gli chiedono che rapporto ci sia tra lui e sua figlia Jennifer, anche lei regista; la risposta è: “La relazione che c’è tra me e Jennifer è che io sono il padre e lei la figlia” (segue compiaciuta risatina con gli occhi strizzati).
“Non ho affatto chiuso con il cinema, anche se al momento il mio interesse primario è la pittura”, spiega, per poi dichiarare di avere molte idee ma allo stadio di puri frammenti, piccoli puzzle incompleti, cui manca ancora qualcosa perché possano concretizzarsi. Una di queste è Ronnie Rocket, progetto che Lynch accarezza da molti anni, addirittura dai tempi di Eraserhead, ma che a oggi è ancora ben lontano dall’essere realizzato (“Manca qualcosa ma non so cosa sia”, dice). Smentisce anche le voci riguardanti un possibile progetto su Marylin Monroe (“Avevo un certo interesse a fare un film su di lei, ma ora non più. Però amo ancora Marylin”), ed è prodigo di dichiarazioni di stima e affetto verso storici compagni di viaggio come Angelo Badalamenti (“E’ come un fratello, per me. Per ora non ci sono progetti in cantiere ma mi piacerebbe tornare a lavorare con lui”) e Laura Dern (“Amo Laura Dern. E’ una grande attrice”). Dichiara a sorpresa (ma forse no) di non guardare molti film, e se gli si chiede – nel simpatico caos della sua poliedrica attività artistica, che va dal cinema alla musica alla pittura e alla fotografia – di definirsi con una sola parola, risponde: pittore. Insomma, a essere onesti l’impressione è che il ritorno al cinema sia ancora lontano.
Alle nuove generazioni di filmmakers, per le quali è molto più facile oggi realizzare film, consiglia di aspettare il momento in cui ci si innamora veramente di un’idea, e a quel punto lavorarci duramente su, difendendo quell’idea, restando fedele a essa durante tutto il processo realizzativo e soprattutto lottando per mantenerne il totale controllo creativo.
Quando il discorso si sposta sulla meditazione trascendentale, come prevedibile, il nostro diventa più loquace. Emerge il Lynch più mistico, dalla logica lineare e disarmante, forse un po’ santone ma talmente in buona fede da risultare seducente. “Siamo nati per essere felici, non per soffrire, arrabbiarci o deprimerci. La negatività è il nemico numero uno della creatività, schiaccia il flusso delle idee. Noi possiamo scoprire un tesoro dentro di noi, e rendere il mondo migliore. Perché se vedi il mondo attraverso lenti scure, il mondo ti sembrerà scuro. Il mondo è influenzato e condizionato dai nostri stati d’animo. Se riusciamo a essere più felici, il mondo può diventare un posto bellissimo”.
Quando sentì parlare per la prima volta di meditazione trascendentale, negli anni Sessanta, fu a proposito dei Beatles. “Allora non me ne importava niente. Mi importava che i Beatles scrivessero belle canzoni, e basta. Oggi Ringo Starr e Paul McCartney sono sostenitori della David Lynch Foundation. E’ la chiusura di un cerchio”.

Domenico Zàzzara
Lucca, 27 settembre 2014

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