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Casting

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VOTO: 7.5

Attenzione alla Puttana Santa

Quanto può essere impegnativo realizzare il remake di un film diretto da uno dei più grandi cineasti della storia del cinema? Quanto può essere forte l’impatto emotivo di una sì grande responsabilità? Lo sa bene Vera, regista consapevole e meticolosa, che ha il compito di selezionare un’adeguata interprete femminile, al fine di realizzare la riduzione televisiva di Le lacrime amare di Petra von Kant, diretto nel 1972 dal grande Rainer Werner Fassbinder, nonché trasposizione cinematografica dell’omonima opera teatrale scritta dallo stesso autore. La grande responsabilità, unita ai tempi ristretti dato l’imminente inizio delle riprese e, soprattutto, gli innumerevoli contrattempi che in situazioni del genere si verificano quasi quotidianamente, contribuiranno a rendere il tutto ancora più difficile. Ovviamente, nel mondo del cinema e della televisione, situazioni del genere si verificano praticamente di continuo. Nel nostro caso, è stata volontà del cineasta tedesco Nicolas Wackerbarth mostrarci da vicino cosa accade realmente, quali sono le numerose emozioni che ognuno degli addetti ai lavori vive e, soprattutto, quanto può essere spietato un mondo in cui l’amore per l’arte deve spesso soccombere di fronte al dio Denaro. A tal fine, il regista ha dato vita a Casting, intenso lungometraggio presentato alla 67° Berlinale – all’interno della sezione Forum – e, successivamente, al 35° Torino Film Festival, nella sezione Festa Mobile.
Girato con lo stile quasi di un documentario, con un uso esclusivo di macchina a mano ed una regia volutamente essenziale che prevede pochissimi punti macchina ed intensi primi piani dei protagonisti, questo lavoro di Wackerbarth si è rivelato particolarmente adatto sì a raccontare un mondo spietato come può essere quello dello spettacolo, ma anche a rendere omaggio non solo alla settima arte, bensì soprattutto ad uno dei più importanti autori del Nuovo Cinema Tedesco, ancora oggi preso come modello da numerosi cineasti.
Ed ecco che Casting, pur concentrando la propria attenzione su Le lacrime amare di Petra von Kant, sembra ricordarci, a tratti, un’altra importante opera dell’autore, ossia Attenzione alla puttana santa (1971), capolavoro metacinematografico che analogamente ci racconta tutte le brutture di un ambiente tanto amato, ma anche tanto odiato da chi lo vive quotidianamente. Al via, dunque, momenti che vedono attori impegnarsi in estenuanti prove, sotto l’occhio vigile ed impietoso della macchina da presa, appunto, la quale sembra cogliere ogni minima debolezza e sfaccettatura.
Vi sono attimi di forte pathos, in Casting. Uno tra tutti, l’interpretazione di Annika – attrice appena scartata da Vera – che si rivolge alla regista recitando in modo praticamente impeccabile alcune battute pronunciate da Petra von Kant. Dal canto suo, decisamente degna di nota è la figura di Gerwin (impersonato dal bravo Andreas Lust), attore ritiratosi dalle scene che si presta ad interpretare durante i casting il ruolo di Karl, fino al punto di voler ricominciare a recitare e a desiderare a tutti i costi la parte: ottima caratterizzazione di chi è stato, in qualche modo, schiacciato dai meccanismi produttivi, ma che, sotto sotto, cova ancora il desiderio di riuscire nei propri intenti. La scelta narrativa che convince meno, a tal proposito, è, forse, proprio quella di focalizzare l’attenzione, a circa tre quarti del lungometraggio, quasi esclusivamente sui tormenti interiori di Gerwin, dimenticando quasi le peripezie per trovare un’attrice adeguata, su cui ci si era precedentemente concentrati.
E, dunque, tra un provino e l’altro, tra un litigio ed una risata, il lungometraggio arriva pian piano al tanto temuto inizio delle riprese, in un crescendo di tensione emotiva fino alla fine.
Indubbiamente, Wackerbarth ha saputo ben gestire il progetto, senza voler emulare a tutti i costi un cineasta come Fassbinder – come può pericolosamente accadere in situazioni del genere – ma creando un’opera del tutto personale, che si fa ritratto cinico e realista di un mondo tanto affascinante quanto spietato, senza dimenticare una dovuta e sincera reverenza nei confronti del passato.

Marina Pavido

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