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Café de Flore

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VOTO: 6

Sfiorando il cielo con la musica, senza volare

«Il n’est pas facile de dire adieu à ceux qu′on aime; pour y parvenir, il faut parfois toute une vie – ou deux»

Mai come nel caso di Jean Marc Vallée e di Café de Flore ci sembra opportuno entrare subito nel vivo provando a indicare ai nostri lettori una possibile chiave di lettura suggeritaci dallo stesso cineasta lungo tutto lo svolgimento del film. Una spia ci ha toccato sul finale, senza che questo comporti uno spoiler né sia sinonimo di presunzione nella decodifica del messaggio. Ultima immagine dei titoli di coda: una chiesa gotica spicca sullo sfondo di un fermo immagine a mo’ di foto ricordo e ci “illumina” su una cifra stilistica (spesso criptica) sottesa alle trame messe in scena da Vallée. Un gotico latente si sposa con uno spirito innamorato del raccontare l’amore; sbaglieremmo se definissimo Café de flore un film gotico, le guglie prendono forma, infatti, quando la nostra parte ombrosa ha il sopravvento. Il regista franco-canadese costruisce le sue storie d’amore incrociando umanità e anni diversi (1969  e  2011) tentando di dar vita a più dimensioni tra vita reale, inconscio, ricordi in un gioco filmico  dove la parte da leone è affidata all’equilibrio (fragile) tra montaggio e sceneggiatura. Montrèal 2011: un uomo felice – quarant’anni prima, Parigi 1969: Laurent, un bambino che non ha tutto per essere felice, ad accomunarli la mancanza di lucidità per rendersene conto.
Antoine Godin (Kevin Parent) è un DJ affermato, «irradia felicità» mentre saluta la sua famiglia in aeroporto per un nuovo concerto, si respira un’aria serena, passionale (con la propria donna), tenera (con le due figlie). Lo vediamo allontanarsi, fino a confondersi tra tanti e scomparire mentre una folla di bambini down ci viene incontro. Una donna è svegliata dall’incubo appena avuto. 1969 Laurent, nato down, vive con sua madre Juliette (Joanny Corbell-Picher), votata completamente a lui in un attaccamento che supera il rapporto madre-figlio sfociando in una gelosia morbosa. Descrivere così l’incipit potrebbe risultare frammentario, vuole essere un tentativo di specchiare in forma scritta i primi frames; la sensazione che si avverte sin dalle prime inquadrature è di un parallelismo voluto tanto da aspettarsi che un filo prima o poi congiungerà le due storie, ma è proprio qui che le intenzioni del regista perdono di consistenza. Nonostante la tensione ad una diegesi fluida, il risultato a tratti si mostra con un ritmo sin troppo serrato nel passare da una vicenda all’altra ed anche all’interno della stessa storia non è sempre in grado di porre lo spettatore in una condizione di comprensione delle linee vitali dei nostri protagonisti. La commistione con l’elemento sovrannaturale non aiuta, si dimostra poco efficace nell’economia narrativa della ricomposizione del puzzle restituendo, solo in parte, la reazione di chi perde la persona “predestinata” e cerca disperatamente una spiegazione per non lasciarsi morire.
Per colmare le lacune Vallée gioca la sua carta, segna il territorio con l’utilizzo pensato e sentito della musica (la canzone omonima di Doctor Rockit ricorre lungo tutto il film scandendo i passaggi di plot e i punti di svolta in Antoine e Laurent). Una voce fuori campo ci racconta di cosa significhi per Juliette e il suo «angelo caduto dal cielo»: mamma, cafè. «Café de flore simbolo di un sogno mitico, più grande dell’umanità, più forte della vita». Non una semplice colonna sonora, ma una musica che sa essere protagonista senza offuscare i personaggi umani, guidandoli, invece, alla riscoperta di sé, ad ascoltarsi per cambiare musica e a fermarsi per vedere la vita come dovrebbe essere.
Dopo C.R.A.Z.Y. (presentato nell’edizione del 2005 della Mostra del Cinema di Venezia), il regista franco-canadese prova a suonare la sinfonia dell’amore «troublant, maladroit, imparfait et inachevé… humain» sfruttando la forza interiore e creatrice della musica, ancora di salvezza per i protagonisti e per il film tanto da chiederci insieme ad Antoine se «esistono canzoni che ti fan venire voglia di alzare il volume, di vivere».
Café de Flore ci lascia il sapore di incompiuto, di un filo non riallacciato – pur sciogliendo i nodi irrisolti nelle vite di Antoine e di Laurent – ma resta un film d’autore (selezionato per il programma delle Giornate degli Autori) capace di donare delle perle di delicatezza come l’immagine del tenero abbraccio tra Laurent e Véro dimostrandoci che a sette anni si può sapere dell’amore…

Maria Lucia Tangorra

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