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Bande à part

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VOTO: 6.5

Noir à part

Nel colorato documentario on the road Visages villages, l’arzilla Agnès Varda, tra i molti pellegrinaggi per i differenti paesi francesi, decide anche di rivedere uno dei vecchi compagni di avventure cinematografiche, nonché amico, Jean-Luc Godard. Purtroppo JLC, che era stato ben predisposto a questo incontro, si nega e preferisce celarsi dentro il suo fortino abitativo. La Varda, donna forte, ci rimane profondamente male e intristita per questo bambinesco atteggiamento, quindi rinnega definitivamente l’uomo Jean Luc. Però, al di là di questo disdicevole episodio, la Varda non rinnega assolutamente l’artista Godard, che ha dato lustro alla Nouvelle Vague e riempito la storia del cinema di stupende e indimenticabili immagini. E proprio in Visages villages, oltre a un vecchissimo filmino in bianco e nero in cui Godard recita giocosamente la parte di Buster Keaton, c’è una divertita citazione godardiana. La Varda, aiutata dall’artista JR, ripete, ri-adattandola, la più famosa scena di Bande à part, cioè la spericolata e fanciullesca corsa dentro il Louvre fatta dal trio Franz/Odile/Arthur. Scena mitica già omaggiata da Bernardo Bertolucci in The Dreamers (2003) e, in un certo qual modo, anche nel demenziale National Lampoon’s European Vacation di Amy Heckerling (1985). Ma tale pellicola ha un grande valore affettivo anche per il cinefilo Quentin Tarantino, che ha citato, a modo suo, in Pulp Fiction la scena dell’improvvisato ballo a tre nel bar, e ha utilizzato il titolo della pellicola per chiamare la sua prima casa di produzione, A Band a Part, chiusa nel 2006, che produsse già il suo esordio Reservoir Dogs. Però questi sono gli echi cinematografici che con il passare del tempo ha generato la pellicola, dandogli una spessa aurea dorata, mentre alla sua uscita generò un tiepido entusiasmo (in Italia uscì in modo quasi randagio).

Bande à part, girato nel 1964 e realizzato nel pieno fervore creativo di JLC, che in quello stesso anno girò anche un segmento del film collettivo Le più belle truffe del mondo, il ritratto femminino Una donna sposata e il breve documentario Reportage sur Orly). Questo noir si situa tra due cult a colori, il “kolossal” Le mephris (1963) e il folle Pierrot le fou (1965), ed era per Godard era un ritorno al low-budget degli esordi e un omaggio al cinema di Serie B americano tanto ammirato. Prendendo a pretesto il romanzo “Fool’s Gold” di Dolores Hitchens, uscito per la Série Noire, JLC opera sulla materia di partenza il suo usuale approccio. Quello che gli interessa è la scomposizione e la ricomposizione del materiale, in modo tale da poter lavorare sul linguaggio (scritto, visivo, verbale, auditivo). Bande à part, attraverso il compulso rimaneggiamento del regista, diviene un noir ibrido, proprio perché Godard dilata l’aspetto scuro della vicenda, per divagare visivamente e filosofeggiare verbalmente. Stando attaccato al duo di amici, cui si aggiunge successivamente la ragazza, JLC scruta con la macchina da presa gli ambienti periferici di Parigi, e lascia ai due personaggi le frasi pseudo cinematografiche. La voce over, che a volte interrompe la presa diretta, è dello stesso Godard, e fornisce in modo distaccato, da consumato narratore letterario, informazioni più dettagliate sul narrato. Inoltre JLC, per gran parte del film, si concentra maggiormente sul triangolo d’amore e conflitto creatosi, generando una variante cruda e cinica di Jules et Jim di François Truffaut. L’aspetto “nero”, che era alla base del romanzo, viene relegato e svolto verso la fine, in modo abbastanza sbrigativo.
Però Bande à part, a posteriori, si rivela narrativamente e visivamente meno frammentario e “iconoclasta” rispetto ad altre sue opere di quella decade. La trama segue un percorso lineare, proprio per perseguire il più possibile l’estetica dei modelli originali, cercando anche di (ri)creare una regia invisibile. E l’omaggio si concreta maggiormente con un bianco e nero (del fidato Raoul Coutard), molto contrastato, senza sfumature. In questo noir rimodellato, tutto al suo interno è sagomato su quanto assimilato da Godard quando era cinefilo, però adeguato ai gusti di JLC regista. Gli ambienti periferici di Parigi sostituiscono i bassifondi americani, e i due personaggi sono dei calchi dei gangster cinematografici, e le loro azioni e le loro battute sono delle citazioni di quanto hanno visto sullo schermo; e la ragazza è una sempliciotta, antitesi delle usuali “femme fatale”. Mentre famigerati preziosismi “iconoclasti” godardiani sono centellinati, cioè quegli elementi di “disturbo” che vanno a “interrompere” il normale flusso della visione. Oltre alla già citata voce del narratore, Godard mette in “visione” un minuto di silenzio. Eppure, alla fine della visione, si ha quasi la conferma che l’unica forza della pellicola sia proprio la nota scena al Louvre.

Roberto Baldassarre

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