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Babylon Sisters

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VOTO: 6

Le ragazze di Via Ungaretti

In attesa della distribuzione nelle sale, Babylon Sisters continua a prendersi qualche piccola soddisfazione nel circuito festivaliero nazionale e internazionale, dove l’opera prima di Gigi Roccati si è recentemente portata da casa il premio del pubblico della sezione #FrameItalia alla 24esima edizione di Sguardi Altrove Film Festival. Ed è proprio nella kermesse milanese che abbiamo avuto la possibilità di recuperarla, dopo che la pellicola aveva già fatto alcune apparizioni sugli schermi nostrani, tra cui quelle alla Festa del cinema di Roma 2016 nella sezione Alice nella città e lo scorso gennaio come Evento Speciale al Trieste Film Festival.
Roccati, qui al suo debutto cinematografico dopo una lunga e fortunata esperienza nel cinema documentaristico, trae libera ispirazione dalle pagine del libro di Laila Wadia  dal titolo “Amiche per la pelle”. La trasposizione ne conserva lo spirito e alcuni ingredienti del plot, a cominciare dall’ambientazione, con la storia e i personaggi catapultati in quel di Via Ungaretti, una strada immaginaria di Trieste che la scrittrice aveva definito “dimenticata sia dal sole sia dal Comune“. Lì, al civico 52 di un palazzo degradato della periferia della città, abitato da altre famiglie di immigrati e da un vecchio professore che odia tutti, si è da poco trasferita Kamla con i suoi genitori. Quando arriva la lettera di sfratto, determinati a non lasciare le proprie case, gli uomini reagiscono con rabbia alle minacce del padrone fuorilegge, mentre le donne si uniscono per salvare il destino delle proprie famiglie, tra risate, pianti e incomprensioni. Intanto la piccola Kamla e il professor Leone diventano amici contro la volontà del padre, mentre la madre Shanti presto rivela il dono di saper ballare come una star di Bollywood. Con l’aiuto di un’amica italiana, nasce il progetto di una scuola di danza e nel quartiere già si parla delle Babylon Sisters.
Sulla timeline del film di Roccati, e prima ancora nelle pagine del libro e dello script, confluiscono tutta una serie di tematiche che al cinema hanno già trovato ampio spazio, basti pensare a opere battenti bandiera tricolore come Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio di Isotta Toso (anch’esso con origine letteraria) o Tutti contro tutti di e con Rolando Ravello. Per cui non si può parlare di originalità, anche perché lo scegliere di trattare tematiche come l’integrazione, l’immigrazione, l’abbattimento e il superamento delle diversità, delle diseguaglianze, dei pregiudizi e dei luoghi comuni, significa automaticamente doversi confrontare con tantissime altre esperienze cinematografiche analoghe. Ed è quanto è costretto a fare anche Babylon Sisters. Per cui, messa da parte la suddetta componente, i motivi di un possibile interesse vanno ricercati da altre parte, ossia nell’approccio alla materia, nel punto di vista con il quale si porta avanti il racconto e soprattutto dal tono utilizzato per animarlo. E cominciamo proprio da quest’ultimo, con Roccati che punta tutto sulla leggerezza, sul registro quasi favolistico e sugli intermezzi danzereschi in stile bollywoodiano usati come contrappunto. Ciò dona al film un tocco più autoriale e personale, ma allo stesso tempo facilita di molto il percorso di avvicinamento a un pubblico più vasto ed eterogeneo. Poi c’è il punto di vista, che in Babylon Sisters privilegia quello femminile. A differenza della pellicola della Isotta e di Ravello, qui sono le donne il motore portante della narrazione. Tutto prende spunto e ruota intorno alle dinamiche innescate dalle quote rosa presenti nella storia che sono di fatto in netta maggioranza. Quella che scorre sullo schermo è, infatti, una storia di donne che mettono in campo le rispettive risorse per arrivare a un’integrazione possibile e per farlo celebrano l’amicizia, l’uguaglianza e l’accoglienza.
L’altra sostanziale differenza con le opere dei connazionali sta nel modo in cui si arriva a parlare di uguaglianza e integrazione. Se in Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio e Tutti contro tutti le differenze finivano il più delle volte per separare, in Babylon Sisters diventano invece un motivo per unire e azzerare le distanze. Le diverse etnie presenti nel palazzo, così distanti geograficamente e culturalmente, qui si uniscono per combattere insieme e non una contro l’altra per uno scopo comune e per rivendicare i propri diritti. Ovviamente il lieto fine non può mancare come da pronostici, con tutta la sua dose di morale a condire il tutto, ma oramai il pubblico nostrano (e non solo) si è assuefatto e abituato a misurarsi quotidianamente con questo modo di raccontare e lanciare messaggi. Ora,  non si tratta di buonismo, ma di quella semplificazione che deriva dal non volere o non riuscire ad andare più in profondità nelle tematiche. Roccati prende in prestito le pagine della Wadia per poi fermarsi in superficie, quando forse avrebbe potuto prendere coraggio e distaccarsi molto di più dall’enorme numero di pellicole sull’argomento che stanno proliferando nell’ultimo decennio. Sta qui il limite più evidente che impedisce al suo film di farsi largo nel gigantesco calderone.

Francesco Del Grosso

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