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Baby

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VOTO: 7.5

Come me

Tra le visioni più toccanti offerte dalla line-up del 29° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina un posto di diritto va assegnato a Baby di Jie Liu, presentato nella competizione lungometraggi della kermesse meneghina dopo le apparizioni in quel di Toronto e San Sebastián. Ma se il film del cineasta cinese, qui alla sua settima prova sulla lunga distanza, riesce a raggiungere vette più o meno alte da un punto di vista emotivo gran merito va attribuito in primis alla performance davanti la macchina da presa di un’intensa Yang Mi, alle prese con quella che riteniamo ad oggi la sua migliore interpretazione. Il suo è un one woman show di altissimo livello dal forte coefficiente di difficoltà, che ha permesso alla pellicola di raggiungere quei picchi che altrimenti, con molta probabilità, non sarebbe riuscita a raggiungere. Questo Liu lo sapeva benissimo e non a caso ha caricato sulle spalle dell’attrice tutta la posta in gioco, con una scelta che a conti fatti si è rivelata determinante ai fini della riuscita.
La Mi si cala con tutta se stessa nel ruolo di Jiang, una ventenne abbandonata da bambina a causa di una malattia congenita che si ritrova a vivere una sorta di déjà-vu quando s’imbatte in una neonata con problemi simili ai suoi e che i genitori stanno per lasciar morire. Nulla potrà fermarla dal tentare ogni strada possibile per salvarle la vita. Inizia così a lottare contro genitori, dottori, poliziotti, chiunque si frapponga tra lei e la salute della bimba. Riuscirà a farcela? Spetta alla visione e non di certo a noi l’ardua sentenza.
Con Baby, Jie Liu cambia completamente rotta rispetto al thriller dalle tinte horror Hide and Seek (remake dell’omonima pellicola sudcoreana di Huh Jung), tornando a suonare come in De Lan e Deep in the Clouds corde a lui più congeniali, ossia quelle del dramma umano e sociale. Il regista prende in consegna un tema universale come i legami affettivi, biologici e non, ma al contempo si concentra su un argomento scottante e delicato l’abbandono dei bambini disabili ai tempi della politica del figlio unico. Il risultato è un film di denuncia profondamente sentito, che a fasi alterne accarezza e schiaffeggia il cuore dello spettatore con scene di forte impatto emotivo che hanno le punte massime nei faccia a faccia tra Jiang e il padre della bambina.

Francesco Del Grosso

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